«Bie nvenidos» Il caso delle spie russe riporta la Slovenia al centro dello scontro tra Russia e Occidente

Due agenti del Cremlino vivevano sotto copertura nella periferia di Lubiana, fingendo di essere una coppia argentina per raccogliere dati sull’operato dell’Agenzia dell’Ue per la cooperazione.

15.8.2024 Stefano Lusa, 15.8.2024 linkiesta.it lettura4’

Lo scandalo ha riacceso la storica tensione interna tra l'adesione all'orientamento euroatlantico e una nostalgia per il passato non allineato della Jugoslavia

Articolo originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

La storia è quella dei due figli delle spie russe arrestate nel dicembre del 2022 in Slovenia e rispedite in patria nell’ambito di quello che è stato il più grosso scambio recente di prigionieri avvenuto tra la Russia e l’Occidente.I due bambini hanno scoperto solo sull’aereo che li portava a Mosca di essere russi. Il presidente Vladimir Putin li ha salutati al loro arrivo parlandogli in spagnolo. Loro non sapevano nemmeno chi fosse. Tutto come in una puntata di “The Americans”, la fortunata serie televisiva ambientata negli anni Ottanta che raccontava la vita di due agenti segreti del Kgb, che si fingevano americani e che vivevano nei sobborghi di Washington. Anche i loro figli erano ignari della vera identità dei loro genitori e crescevano come veri americani.

La famiglia di spie russe arrestate non era molto diversa da quella della fiction: classici agenti che agivano illegalmente sotto copertura all’estero, disposti a sacrificare anche i loro figli per la causa. Si presentavano come una tranquilla coppia argentina residente nella periferia di Lubiana, che gestiva una azienda informatica e una galleria d’arte. Il loro compito sarebbe stato quello di raccogliere dati sull’operato dell’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali, con sede a Lubiana.

La Slovenia sarebbe stata usata da loro anche come base per missioni in Italia, Croazia e altre parti d’Europa. A fine luglio il tribunale di Lubiana li ha condannati a un anno e sette mesi di carcere, giusto in tempo per farli rientrare nello scambio di prigionieri.

Il premier Robert Golob è subito apparso gongolante in video ed ha parlato di un risultato storico per il suo paese. Il primo ministro non ha mancato di sottolineare di essere stato chiamato di persona addirittura dal presidente americano Joe Biden, che lo avrebbe ringraziato dell’apporto dato dalla Slovenia «per mettere in salvo persone innocenti».

Secondo il Consigliere per la sicurezza nazionale Vojko Volk Lubiana avrebbe così ottenuto «il rispetto e la fiducia degli altri servizi di sicurezza» occidentali. In parole povere la Slovenia ha messo a disposizione le spie catturate sul suo territorio, per far uscire dalla Russia occidentali condannati per spionaggio e oppositori di Putin. Un credito da spendere in futuro, visto che nessun cittadino sloveno era nelle mani dei russi.

Lubiana è da tempo un’area dove operano servizi segreti stranieri. Secondo l’esperto di sicurezza ed ex eurodeputato Klemen Grošelj la rete era particolarmente attiva già negli anni Novanta. All’epoca il calderone balcanico era in ebollizione e la Slovenia era un interessante crocevia da dove passavano armi e spie. Negli ultimi tempi l’interesse anche per la Slovenia starebbe aumentando e la rete che esisteva un tempo si starebbe ricostituendo soprattutto alla luce della guerra in Ucraina.

Secondo gli esperti gli agenti russi metterebbero in atto in molti paesi quella che in gergo viene definita «guerra speciale» che servirebbe a scardinare la democrazia liberale, a fomentare la retorica anti Lgbt e quella anti-migranti.

Una vasta rete di controinformazione che avrebbe come scopo creare simpatie verso la Russia, il suo presidente e il suo sistema di governo. Ora l’obiettivo principale sarebbe naturalmente mettere in discussione la sensatezza degli aiuti all’Ucraina. Parte della dezinformacija correrebbe anche sui social e c’è anche chi fa notare come molti profili propugnatori della causa “no vax”, ai tempi del covid, si siano trasformati in un battibaleno in sostenitori di Putin.

Lubiana nell’aprile scorso ha cacciato un diplomatico russo, che secondo i bene informati avrebbe cercato di mettere su una rete che aveva lo scopo di alimentare i sentimenti anti Nato presenti nella società slovena, e di alimentare la diffusa percezione che ci sia una doppia morale dell’Occidente nell’affrontare la crisi ucraina e quella palestinese.

A giugno invece è trapelata la notizia che un altro agente russo avrebbe operato per anni in Slovenia. Si trattava di un giornalista della Tass, l’agenzia di stampa russa, che aveva addirittura intervistato l’allora premier, Marjan Šarec prima di una sua visita a Mosca. A smascherarlo e rispedirlo in Russia sono stati gli austriaci, ma a Lubiana assicurano che i servizi sloveni sapevano benissimo quello che stava facendo.

Con la consegna delle sue due spie da scambiare con altri prigionieri occidentali la Slovenia ha riaffermato il suo orientamento euroatlantico. Nel paese, però, non tutti sono convinti che la strada sia quella giusta. Qualcuno sogna addirittura l’uscita dalla Nato. Una fetta dell’opinione pubblica guarda con nostalgia all’epoca del non allineamento di jugoslava memoria, quando la federazione navigava tra i due blocchi.

Intanto sono in molti a spiegare che anche i russi hanno le loro buone ragioni e che a fomentare il conflitto è stata proprio l’Alleanza atlantica con la sua politica di allargamento a est. Altri parlano della necessità di arrivare alla pace a ogni costo. L’ex presidente della Repubblica Milan Kučan, il grande vecchio della sinistra slovena, ha persino avuto parole di apprezzamento per la «missione di pace» del premier ungherese Viktor Orbán, che ha provocato una vera e propria levata di scudi nell’Unione Europa. Per Kučan, invece, l’interesse strategico dell’UE dovrebbe essere quello di conoscere e capire le alternative che «indubbiamente esistono» per arrivare alla pace.

Lubiana continua a navigare tra Occidente e Oriente, rimanendo ancorata senza troppa convinzione alla sua scelta euroatlantica perseguita con ostinazione sin dagli anni Ottanta. Dall’altra parte invece c’è il richiamo di quel grande mondo slavo di cui si sente di far parte e di quei Balcani in cui si stava peggio, ma dove era la prima della classe.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata