Vittime tra gli innocenti Da Mani pulite al caso Toti: il rapporto tossico fra procura e Gip

Le dimissioni dell’ormai ex presidente della Liguria sono il risultato inevitabile dello strapotere indiscusso della magistratura che continua a mietere impunemente vittime fra gli innocenti

Biagio Marzo — 30 Luglio 2024 ilriformista.it lettura3’

Ieri a Milano, oggi, a Genova. Da Mani pulite al caso Toti. Dal Gip Italo Ghitti al Gip Paola Fagioni. Il passato non passa. Procuratori e giudici per le indagini preliminari in alcuni casi vivono in simbiosi. Motivo per cui è diventata una questione di vita o di morte la riforma della separazione delle carriere e con due Csm: uno per la magistratura inquirente e l’altro per quella giudicante. Grazie al giudice, Guido Salvini, che ha svelato il rapporto “incestuoso” tra procura di Milano e Gip, Italo Ghitti. A quanto pare, in molti casi, il procuratore e il Gip sono amorevolmente insieme, infischiandosene di avere giudiziariamente due ruoli distinti e separati: uno rappresenta l’accusa, l’altro ha delle funzioni che sono preordinate a garantire l’indagato nella fase delle indagini preliminari.

Per il pool Mani pulite era comodo avere un solo interlocutore all’interno dell’ufficio Gip, in cui vi erano una ventina di giudici. Per arrivare allo scopo, la procura escogitò che fosse un unico Gip a gestire la pletora di indagati che sfornava giornalmente. Dall’arresto di Mario Chiesa, presidente dell’Albergo Trivulzio, in poi, vi era un registro, in cui venivano scritti centinaia di indagati di vicende una diversa dalle altre gestite dal pool Mani pulite. Il capo era Francesco Borrelli, mentre Antonio Di Pietro era il Pm che sfornava inchieste a go go e usò la custodia cautelare in maniera smodata e aveva, a suo modo, come grammatica giudiziaria far parlare l’indagato, che, con le buone e con le cattive, avrebbe dovuto accusare un altro. Altrimenti sarebbe finito a San Vittore. Le sue indagini erano una sorta di catalizzatore che accelerava la produzione di indagati. Una giustizia di cui il pool era il mezzo e il Gip era il fine. Vale a dire colui che mandava, senza leggere e scrivere, i colletti bianchi, cioè i politici e gli imprenditori, in galera. Il numero di cui si serviva Italo Ghitti era sempre lo stesso, dall’arresto di Mario Chiesa a tutte le inchieste successive, 8655/92. Nel 1994 Ghitti fu eletto al Csm e finì il “trucco”, rivelato da Guido Salvini.

La solitudine di Giovanni Toti

Fatte le dovute differenze, anche a Genova il combinato disposto della procura e del Gip ha usato il diktat nei confronti di Giovanni Toti: dimettiti dalla presidenza della giunta ligure e sarai libero, altrimenti resterai agli arresti domiciliari. Dopo tre mesi Toti non ha resistito più e ha dato le dimissioni. La solitudine del governatore, come quella di “Buendia di Macondo”, è stato un fatto triste, in pochi si sono spesi per difenderlo. Nei giorni precedenti, piazza De Ferraris trasformata in Plase de la Revolution, presero posto, per lo spettacolo contro Toti agli arresti, le tricoteuse: Schlein e Conte e la loro compagnia di giro giustizialista. Un fatto abominevole. Carlo Nordio, tra la lettura della “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel e lo scrivere su Il Foglio su Winston Churchill, non ha trovato il tempo per inviare degli ispettori alla procura e all’ufficio del Gip.

Hanno perso la giustizia e la politica

Sulle dimissioni di Toti, ha detto solo e soltanto che è una «sconfitta della democrazia», direi anche dello Stato di diritto. Di seguito, il ministro esplicitamente dichiara che Toti ha fatto male a dimettersi, essendo legittimato dal voto popolare. Facile a dirsi, non essendo Nordio agli arresti domiciliari per tre lunghi mesi. E comunque, Sabino Cassese, che non è l’ultimo di questo mondo cane, ha detto la sua sull’arresto con la Costituzione in una mano e il Codice penale nell’altra: «non risponde al criterio di ragionevolezza e proporzionalità desunto dal giudice dall’articolo 3 della Costituzione» e «appare per questo irragionevole». Ha vinto la “magistratura al pesto” e ha perso Giovanni Toti. In verità hanno perso la giustizia e la politica. In primo luogo la giustizia ha imposto il suo dominio, non la sua egemonia, fregandosene dello Stato di diritto. Il che non ha fatto bene alla magistratura e l’ha screditata, altresì.

In secondo luogo la politica si presenta debole e sottomessa ad un ordine giudiziario diventato potere insindacabile, che non paga mai alcun prezzo quando applica il Codice penale come gli pare e piace. Il paradosso è che più il magistrato commette errori a scapito degli innocenti e più avanza di carriera. Ogni riferimento a un magistrato in carica è puramente casuale. Gli esempi sono numerosi e, per di più, non si può lanciare alcun anatema, perché scatta l’allarme rosso: la politica vuole la magistratura a un ruolo ancillare. Da non credere, l’inchiesta su Toti è durata quattro anni, un anno in più della Grande Guerra ‘15-‘18. L’amara verità è che la politica è inerme e talvolta vigliacca. Di grazia, come farebbe a mettere in crisi il “Sistema”?

Biagio Marzo

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