Salvini. Il Trump alle vongole La Lega si fa sempre più estremista, con Vannacci punto di riferimento fortissimo

Salvini sposa la linea dura per fare concorrenza a Meloni da destra. Ma, in attesa delle elezioni americane, rischia di fare l’apprendista stregone e spianare la strada al generale

10.7.2024 Mario Lavia linkiesta.it lettura3’

Quello che tutti nella Lega si chiedono è «se il Capo vuole scavalcare Vannacci a destra per non trovarselo contro» – come dice un parlamentare di prima fascia – perché tra i due è una gara a chi, avrebbe detto Umberto Bossi, «ce l’ha più duro», cioè a chi è più parafascista dei due. L’estremismo di Matteo Salvini è frutto della concorrenza con la presidente del Consiglio, ma anche con il generale ormai figura di riferimento per tanti leghisti.

Quello che è certo è che per il momento si danno vicendevolmente la mano e infatti Salvini ha nominato proprio il generale come vicepresidente del gruppo europei dei “Patrioti”, una carica che non significa niente se non un segnale: Salvini-Vannacci è la diarchia che comanda. Per ora, almeno.

Il vicepremier si è ormai spostato in modo spudorato verso il putinismo, il Vangelo politico del fascismo mondiale in attesa che arrivi il Donald Trump di ritorno per rinforzare il vento della reazione. Salvini e Vannacci, più politico il primo più istintivo il secondo, sentono che Giorgia Meloni si è ficcata in un limbo tra reazione e Occidente: l’incertezza sul voto a Ursula von der Leyen è il pertugio che ha fatto dire al capo della Lega che se votasse la presidente della Commissione uscente per Giorgia «sarebbe la fine». Sembra un “lento Papeete”, anche se è ovvio che stavolta la Lega non strapperà.

Ma se anche stavolta il Capitano dovesse fare un buco nell’acqua ecco che Roberto Vannacci sarebbe pronto a fare della Lega un vero partito parafascista, trumpiano, probabilmente con una allure molto più marcata e aspra nei confronti di Meloni.

E se il “vannaccismo” si trovasse poi a incrociare una fase declinante della premier potremmo trovarci di fronte a uno scenario “francese” con il generale nei panni di Marine Le Pen (o forse del padre Jean-Marie che però era un uomo intelligentissimo). D’altronde l’abbrivio antimeloniano pare inesorabile, il lavorìo del ministro dei Trasporti nonché vicepremier ai fianchi di Meloni è cominciato da settimane. Nemmeno la ciliegina dell’autonomia differenziata offerta da lei ingolosisce Salvini, che nelle conversazioni private ha mostrato più di un dubbio sulla possibilità di vincere il referendum.

Dal giorno dopo l’approvazione della legge calderoliana infatti il capo leghista ha cominciato a martellare Giorgia sul suo punto più debole, l’Europa, dove i “suoi” Conservatori sono stati retrocessi alla quarta posizione con settantotto deputati mentre brilla il nuovo gruppo di destra dei “Patrioti” in cui è confluita tutta Identità e democrazia di Salvini e Le Pen. Entrambi stanno facendo campagna acquisti anche dentro i Conservatori e si sono già presi il gruppo di Vox, il cui leader è amico personale della presidente del Consiglio.

In tutto questo nessuno del gruppo dirigente si espone. Certo, è strano che non ci sia stato uno che abbia battuto le mani a Salvini, che in fondo ha ottenuto un risultato non da poco portando i leghisti nel terzo eurogruppo. In questa fase fluida c’è molta paura di esporsi. Luca Zaia e Massimiliano Fedriga si fanno i fatti loro lì in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, Roma è lontana, anche se non è sfuggito che sull’autonomia differenziata Zaia sia “uscito” pubblicamente molto più di Salvini e dello stesso Calderoli.

La lotta interna come al solito divampa in Lombardia, dove si scontrano due pesi massimi, Massimiliano Romeo e Davide Crippa, per la carica importantissima di segretario regionale. Ma il congresso lombardo continua a slittare e di conseguenza anche quello nazionale. E intanto Vannacci cresce di peso politico all’interno di un partito che ha una linea strana, sfascista ma non troppo. E aspetta il momento buono per entrare in campo, vestito di nero.

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