Contro i «marchingegni» Le parole di Mattarella sono un antidoto al bipolarismo illiberale
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I sacrosanti ammonimenti del presidente della Repubblica sui rischi di una «democrazia della maggioranza» non valgono solo per il progetto di riforma del centrodestra,
La Linea Francesco Cundari, 4.7.2024 linkiesta.ita lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
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Nel suo intervento alla Settimana sociale dei cattolici, Sergio Mattarella ha detto ieri alcune cose piuttosto importanti. Ha ricordato, citando Norberto Bobbio, che tra le condizioni minime della democrazia ci sono i «limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze». Ha ribadito che «non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa».
Quindi, esplicitando quanto era già chiaro nelle suddette premesse, ha spiegato: «Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori. Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali. Ci soccorre anche qui Bobbio, quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà».
Il passaggio più forte del discorso è una citazione del giurista cattolico Egidio Tosato: «Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e oppressiva che non la volontà di un principe». Tosato, chiosa il presidente della Repubblica, con quelle parole «esprimeva un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice». E chi ha orecchie per intendere intenda.
Per quanto mi riguarda, tuttavia, l’essenziale sta tutto nel passaggio sui «marchingegni» e le «semplificazioni di sistema» introdotte in nome del «dovere di governare». E non solo per gli evidenti riflessi sul dibattito politico, sulla battaglia relativa alla riforma del premierato e in particolare a quel marchingegno con cui si vorrebbe assicurare al premier un premio di maggioranza tale da consegnargli di fatto i pieni poteri, a prescindere dai voti, o quasi (il «quasi» dipende da come risolveranno l’alternativa tra consegnare una maggioranza assoluta a chiunque arrivi primo, avesse anche solo il dieci per cento dei consensi, scelta assai problematica anche alla luce delle sentenze della Consulta in materia, o ammettere che la loro riforma non garantisce affatto che il premier possa governare per cinque anni, né che la maggioranza sia solo quella scelta dagli elettori, né nessuna delle altre promesse con cui ce l’hanno venduta fin qui). Quel che più conta, a mio avviso, è che i sacrosanti ammonimenti sui rischi di una «democrazia della maggioranza» non valgono solo per il progetto di riforma del centrodestra.
Quel progetto, con tutte le sue tare, è il figlio legittimo di un dibattito trentennale che su questi temi ha seguito passo passo la strada additata da Mattarella come la via più sicura verso la democrazia illiberale. Direi che è ora di cambiare rotta.