CASO LIGURIA/ Cos’è successo tra Spinelli e Toti (e il Pd) che i pm non vogliono capire
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L'inchiesta sulla "rete" di Spinelli e Toti è sempre più intricata. Ma i problemi da affrontare sono ormai chiari: finanziamento ai partiti e pm
19.05.2024 - Paolo Torricella, ilsussidiario.net lettur4’
Il fattaccio di Genova diventa sempre più intricato. Non solo le dichiarazioni dei due Spinelli, figlio e padre, sono davvero inquietanti: il contesto che aprono sul piano politico lo è molto di più. Se il padre, esperto e navigato, ci ha tenuto a raccontare di aver dato “soldi a tutti”, il figlio, più giovane nella vita, ha preso le distanze chiarendo che a lui risulta che gli venissero sollecitati costantemente finanziamenti “leciti”. E non “illeciti” come sarebbe risultato dal verbale redatto innanzi ai Pm.
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La prima affermazione è davvero scontata. Spinelli padre naviga le stagnanti acque del porto di Genova da molti decenni. E se lui dice di aver dato soldi a tutti, c’è da credergli. Anche perché, è bene chiarirlo, Spinelli si riferisce a bonifici regolarmente dichiarati. E quindi provabili. Per lui un Toti vale l’altro. Sono uomini, i politici, a capo di un sistema che li omaggia, in modo più o meno malizioso, con grande semplicità. E Spinelli non è il primo del mondo delle imprese che vanno per mare a dare qualche euro ad un esponente politico. Chi ricorda più il caso Onorato, un armatore della Moby che aveva finanziato il blog di Grillo e che avrebbe poi avuto rapporti diretti con esponenti dei 5 Stelle, per parlare di cose alte, per carità, ma legate al business? Caso chiuso senza conseguenze. E chi ricorda il caso Open di Renzi, ovvero la tesi accusatoria dei Pm di Firenze devastata dai giudici, per cui i bonifici di tante imprese all’associazione politica di Renzi erano dati, per quei Pm, con finalità illecite anche se dichiarati? Tutto concluso senza neppure una condanna. E che fine hanno fatto le telefonate di D’Alema per il caso Leonardo, quando si proponeva di agevolare la crescita di quell’impresa in Paesi latino-americani? Caso chiuso senza conseguenze. E chi ricorda il Fassino di “abbiamo una banca” all’epoca delle vicende dei “furbetti del quartierino”, quando al telefonico con l’ad di una delle imprese maggiori della cooperazione si informava degli affari di quel mondo? Caso chiuso senza conseguenze.
Ora, il tema che Spinelli ripropone è che cosa è la politica oggi. L’ipocrisia di aver cancellato ogni finanziamento pubblico, unito alla devastante lotta alla “casta”, ha messo i politici nella condizione di necessità di trovare finanziatori che diano supporto alla vita ed alla competizione elettorale. Ponendo il mondo degli affari nella comoda posizione di essere necessari ai politici per poter comprare manifesti, pagare sezioni ed eventi. Tutti i partiti, tutti, prendono soldi in modo assolutamente lecito da imprese e privati. Cene con sovrapprezzo, eventi sponsorizzati o bonifici servono ad accorciare le distanze tra i due mondi mettendo i politici in una condizione di soggezione finanziaria oggettiva dipendendo dai quei denari per poter avere un’agibilità. Del tutto naturale che chi paga chieda informazioni o ponga i suoi interessi, si presume leciti, all’attenzione di coloro che finanzia.
Il punto è che il confine tra ciò che è lecito e ciò non lo è, è nelle mani di ogni singolo procuratore della repubblica, che può decidere, quando vuole, che secondo lui quei soldi sono corruzione. Perché anche quel reato è diventato talmente impalpabile che pure un caffè offerto rappresenta una “utilità” per la quale si è svenduta la funzione pubblica. Il che è una balla. Se un politico nasconde i soldi della corruzione in giardino o nella cuccia del cane, se si arricchisce o fa arricchire indebitamente i suoi, se trae un vantaggio o compie atti illeciti, tutto è chiaramente una corruttela. Ma se non si ha un confine netto, se ogni rapporto o relazione diventa un potenziale atto corruttivo, la tesi di quei Pm, portata alle sue estreme conseguenze, è che un esponente politico dovrebbe parlare o interfacciarsi con tutti, tranne con chi lo ha finanziato. Una specie di castrazione relazionale nei conforti di chi ti ha dato il suo supporto. Come se fosse una colpa, una specie di preavviso di reato, finanziare un politico.
Questa logica indebolisce la politica nel suo complesso, la mette in soggezione dinanzi ai magistrati, crea l’idea che siamo rimasti ai tempi di Tangentopoli, con la parola che riemerge (solo per la vicenda ligure e senza che si parli più dei fatti pugliesi) in alcuni giornali che vendono la storia dei soldi come se Toti, che ancora deve andare a processo, si sia appropriato dei denari dei bonifici fatti in modo tracciato.
Durante Tangentopoli venne provato che molti politici i soldi se li infilavano in tasca propria. Non sui conti del partito, e la dimensione del fenomeno era incontrollata, con mazzette di contanti che venivano consegnate in un Paese in cui c’era il segreto bancario e nessun limite al contante. Un Paese che non esiste più. Ma che vive nei sogli moralisteggianti di un pezzo di magistratura ed opinione pubblica che urla e non dice come i politici debbano attaccare i manifesti, con quali soldi se non quelli dichiarati, denunciati, resi evidenti e tracciati dalle norma che ora vigono.
Che poi ci siano i farabutti, nessuno lo nega. Ma tra giocare al casinò i soldi di un altro mentre sei in albergo pagato e prendere via bonifico un contributo elettorale c’è una enorme differenza che fa ancora fatica ad emergere in questa narrazione, prima ancora che inizi un processo. Che per alcuni dei media è già concluso. Perciò se Spinelli padre dice “ho pagato tutti”, tutti sono colpevoli, ma tutti. Anche chi ha avuto i suoi soldi prima e che ora non governa più la Regione.
Lo Spinelli figlio invece, pare sia un po’ sfortunato, le sue parole sarebbero state trascritte in modo errato. Pare che sul verbale abbia trovato scritto che Toti voleva solo finanziamenti “illeciti” ma lui dice di aver detto “leciti”. Tanto da chiedere la correzione del testo via Pec. Bel problema. Due lettere cambiano il modo. Chi ricorda di un certo investigatore che durante il suo lavoro sbagliò a trascrivere passaggi di intercettazione causando un terremoto giudiziario (caso Tiziano Renzi)? Anche lì fu un errore. E che errore. Roba da anni di inchieste, reputazioni distrutte e persone devastate. Poi tutti innocenti. Ecco, di errore in errore si rischia di perdere il senso di grande necessità, chiarezza e pulizia di cui abbiamo bisogno. Non solo nella verifica delle attività dei politici, ma anche di chi fa di questi “errori”.