Caso dossier, Il Procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo difende l’ufficio Sos –acronimo di Segnalazioni informazioni sospette-
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«Polemiche scomposte, no a incrinare immagine antimafia» La novità sui giornalisti(curiosa assenza di esponenti Pd fra i “spiati) il solo Pd (oggi ex) nel mirino, e il colpo di fortuna di Conte.
6 MARZO 2024 - 17:24 di Federico D’Ambrosio estratto open.online lettura2’
… funzionamento dell’ufficio Sos presso la Procura nazionale antimafia: «Ho chiesto di essere ascoltato affinché vengano colti i fatti e i problemi e per allontanare il pericolo di disinformazione, di speculazione e di letture strumentali di vicende che riguardano delicate funzioni statuali. …
…le operazioni sospette, che arrivano alla Dna sono solo una piccola parte del totale: «Nella nostra banca dati, lungi dall’essere un mostro onnivoro, si ritrova solo una ridotta percentuale delle segnalazioni di operazioni sospette generate dal sistema finanziario: dal 2018 al 2024 tra l’8 e il 16% di tutte le sos generate dal sistema finanziario tramite Uif (provenienti da Banca d’Italia) e Dia». Ciò non toglie che la gravità della situazione esplosa nell’indagine di Perugia sia «estrema», ha detto Melillo, sottolineando però che dal suo arrivo alla Dna ha riformato l’ufficio Sos, cambiando l’impostazione che voleva invece che ci fosse un unico magistrato e pochi militari a lavorarvi. Attualmente, invece, l’ufficio Sos ha più magistrati che lo controllano e, soprattutto, prevede che gli ufficiali di polizia giudiziaria turnino periodicamente.
Impossibile, in ogni caso, fare indagini su mafia e terrorismo senza avere capacità di controllare quantità consistenti di dati: «Le Sos sono strumenti essenziali contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.
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Il procuratore nazionale antimafia Melillo conferma: il caso dossieraggi è la punta di un iceberg più grande
ERMES ANTONUCCI 06 MAR 2024 estratto ilfoglio.it
Ascoltato in commissione Antimafia, il capo della Dna Giovanni Melillo sottolinea la "straordinaria debolezza" delle reti informatiche degli uffici giudiziari, esposti ad accessi abusivi alle banche dati e a intromissioni nella privacy. Il caso di Torino
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Le condotte di Striano “mi paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale. Credo ci siano molti elementi che confliggano con l’idea di un’azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele. Uno dei punti centrali della procura di Perugia sarà comprendere la figura e il sistema di relazioni di Striano”. Sarà questo, c’è da scommetterci, il passaggio del lungo intervento tenuto mercoledì dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo in commissione Antimafia su cui si concentrerà l’attenzione di organi di informazione e politici, che da giorni soffiano sullo “scandalo dossieraggio” nato dalla vicenda degli accessi abusivi alle banche dati a disposizione della Direzione nazionale antimafia (Dna). Tutto ciò nonostante Melillo abbia subito chiarito che si tratta di una sua “personale valutazione”, basata più sull’esperienza passata (gli archivi paralleli della sede Sismi affidati a Pio Pompa) che su dati fattuali. Una valutazione personale che rischia di relegare in secondo piano quanto invece riferito da Melillo, in maniera puntuale e precisa, circa la situazione disastrosa trovata alla procura nazionale antimafia nel momento del suo insediamento il primo giugno 2022, per quanto riguarda la gestione e il controllo sulle banche dati…
Nelle ricerche compulsive compiute autonomamente o a richiesta di giornalisti e altri personaggi (uno dei richiedenti ha lo stesso nome e cognome di un investigatore privato) che si rivolgevano a lui Striano effettivamente non ha quasi mai cercato conti bancari, redditi e proprietà di esponenti politici del Pd. Il solo finito nel suo mirino è l’ex assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, oggi esponente di Azione, ma al momento della ricerca- il 24 febbraio 2022- ancora iscritto al Partito democratico. Anche altri ex Pd sono stati “attenzionati” abusivamente dal luogotenente delle Fiamme Gialle, ma si tratta di esponenti di Italia Viva, a partire proprio dal leader, Matteo Renzi. Giuseppe Conte sostiene di essere lui stesso vittima delle ricerche di Striano. In realtà direttamente no: non sono state consultate con il suo nome o con il suo codice fiscale le banche dati riservate della procura nazionale antimafia. Sono stati messi nel mirino invece esponenti della famiglia della compagna del leader M5s, Olivia Paladino. Ma sono stati accessi a vuoto, perché è il solo caso in cui Striano ha compiuto errori di ortografia non ottenendo le informazioni che gli servivano. Nel caso del suocero di Conte sono state fatte ricerche su “Cesare Paladini”, sbagliando la finale del cognome. Poi è stata compiuta una ricerca sui cognati digitando il nome di “Cristiano Paladino”. Questa volta il cognome era giusto, ma il nome no: si trattava in realtà di Cristiana Paladino, cognata dell’ex premier M5s. Un colpo di fortuna. Estratto da open.online
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