Dire da che parte si sta, quando si fa informazione, non è fare politica.

Il 9 marzo la Cgil scenderà in piazza a Roma per Gaza.. nessun cenno al pogrom del 7 ottobre, a Hamas, al diritto di Israele a esistere. Assonanze con slogan piazze

01 MAR 2024 lettere Direttore ilfoglio.it

L'appello per liberare senza condizioni gli oppositori in Russia

Al direttore - In merito all’articolo comparso sul Foglio del 1° marzo 2024 dal titolo “Will for Calenda”, ci teniamo a precisare che le scelte politiche di Alessandro Tommasi e del suo movimento politico non hanno nulla a che vedere con Will. Da giugno 2023, Tommasi non ha più nessun legame professionale o societario né con Will né con l’editore Be Content. Tommasi ha deciso di lasciare Will per intraprendere un suo percorso politico che non ha alcun collegamento con una realtà che fa informazione e non politica. Will non è per Calenda né per nessun altro candidato o schieramento come è sempre stato.

Cordialmente,

Mario Calabresi, ceo, Be Content

Riccardo Haupt, coo, Be Content

Francesco Zaffarano,

head of content, Will Media

Grazie della lettera. E grazie anche dello spunto interessante che offre questa lettera. Ma davvero dire da che parte si sta, quando si fa informazione, significa fare necessariamente politica? Non sarebbe forse più corretto dire che chi fa informazione e dice da che parte sta sceglie semplicemente di non abbindolare la propria audience fingendo di essere quello che non potrà mai essere, cioè neutrale? Sarebbe bello parlarne. Alla prossima lettera. Grazie.

Al direttore - Il 9 marzo la Cgil scenderà in piazza a Roma. Perché – si legge nel suo comunicato – occorre “impedire il genocidio, garantire assistenza umanitaria alla popolazione di Gaza, liberare gli ostaggi e prigionieri, la fine dell’occupazione, il riconoscimento dello stato di Palestina sulla base delle risoluzioni Onu e l’organizzazione di una conferenza internazionale per pace e giustizia in medio oriente”. Vasto programma, direbbe De Gaulle. Ma non è questo il punto. Ciò che più colpisce è l’uso disinvolto del termine “genocidio” e l’indebita equivalenza tra “ostaggi” e “prigionieri”. Per altro verso, nessun cenno al pogrom del 7 ottobre, a Hamas, al diritto di Israele a esistere. Molte assonanze, invece, con gli slogan che abbiamo ascoltato in queste settimane nei cortei studenteschi, dei Cobas, dei centri sociali, degli anarchici e degli incappucciati che rompono le vetrine dei supermarket. Che tristezza.

Michele Magno

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