La nuova Shoah, considerazioni per gli smemorati

- MEMORIA E PRESENTE La Schindler's List del 7 ottobre

27.1.2024 Claudio Cerasa, Micol Flammini ilfoglio.it

La nuova Shoah, considerazioni per gli smemorati

Il 7/10 ha trasformato la memoria dell’Olocausto in un impegno quotidiano. Per onorarlo, è ora di prendere sul serio ciò che dicono i nemici del popolo ebraico. Testualmente e senza voltarsi dall’altra parte. Ascoltate Mattarella

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Quando dicono che odiano gli ebrei, credetegli. Quando dicono che vogliono spazzare via Israele, ascoltateli. Quando dicono che vogliono impedire a un ebreo di essere ebreo, non liquidateli. Quando dicono che vogliono uccidere tutti i sionisti, non mettevi a fischiettare. Quando dicono che lo rifaranno, che le scene del 7 ottobre sono solo l’inizio del film, prendeteli sul serio. Il Giorno della Memoria, lo sapete, è una ricorrenza importante, internazionale, che viene celebrata ogni anno il 27 gennaio per commemorare le vittime dell’Olocausto. Per anni, il ricordo più forte dell’Olocausto è stato affidato alle parole, alle storie, ai volti, alle testimonianze dei pochi superstiti ancora in vita, a chi l’orrore, quell’orrore, lo ha visto negli occhi, lo ha toccato con le proprie mani, lo ha ancora lì sulla pelle. Per anni, la memoria dell’Olocausto è stata confinata nella sfera delle commemorazioni del passato. Oggi, improvvisamente, la memoria dell’Olocausto, della deportazione degli ebrei, dei rastrellamenti, della persecuzione globale, è tornata a essere parte del nostro presente e non solo del nostro passato. Il 7 ottobre – che ieri, con coraggio, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito “una raccapricciante replica degli orrori della Shoah” – ha trasformato il Giorno della Memoria in un esercizio quotidiano che non si limita più al ricordo degli orrori del passato, al dovere di fare di tutto e di più per dire mai più, ma che ha lasciato il posto a un sentimento diverso, a un’idea diversa, all’interno della quale vive una dimensione nuova, che riguarda non solo Israele, non solo il popolo ebraico, ma tutti coloro che hanno a cuore una certa idea di libertà. Avevamo detto mai più, e invece è successo. Cosa dobbiamo fare per evitare, ora, che il nostro sincero “mai più” possa essere utile per scongiurare un nuovo antisemitismo, una nuova, come ha detto ieri Mattarella, “indicibile, feroce strage antisemita di innocenti”?...

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MICOL FLAMMINI 27 GEN 2024

    

Il nonno sopravvissuto e il nipote ostaggio, le fughe in treno dai nazisti e il sequestro sulle jeep di Hamas. Storie di 80 anni fa che tornano oggi: "E' lo stesso Olocausto"

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Michael Kuperstein aveva tre mesi quando sua madre, con lui al collo, prese un treno diretto verso neppure lei sapeva dove. I nazisti erano arrivati a Chisinau. Non fu lungo il viaggio in treno, i soldati tedeschi e romeni lo colpirono, ci furono morti, feriti, il carrozzone era bloccato sui binari e Michael e sua madre si ritrovarono a errare per la Moldavia, nel mezzo della foresta. Quando sua madre intravedeva una casa, correva a bussare, non aveva latte e non aveva cibo, ma quando chiedeva aiuto, la risposta era sempre la stessa: venivano cacciati, perché ebrei. Arrivarono in Ucraina, a Cernivci, e alla madre, con Michael sempre al collo, dissero che rimanere lì non era sicuro, tutti gli ebrei della zona venivano uccisi. Allora lei continuò a camminare per il territorio ucraino così vasto, nessuno ha memoria di quanto durò quella camminata senza fiato, ma arrivò fino in Russia, a Stalingrado. Riuscirono a sopravvivere, vissero negli scantinati. Qualcuno, nella città privata di tutto e che a breve divenne la più dannata della Russia, era disposto ad aiutarli. Quando la madre era disperata usciva in strada a chiedere del cibo, ma in quella che oggi si chiama Volgograd arrivavano soltanto le bombe naziste. Un giorno i soldati russi li misero su un treno e li mandarono in Uzbekistan. Fu a Tashkent che dopo tre anni suo padre li raggiunse: era stato catturato dai nazisti poco dopo la nascita di Michael, era sopravvissuto ai lager, la vita, seppur ammaccata, poteva ricominciare. Ma a Tashkent passò da una persecuzione all’altra, i sovietici lo mandarono in Siberia: rimaneva sempre ebreo. Michael oggi ha ottantadue anni, vive in Israele, ricorda sua madre come un’eroina e dice che la sua famiglia è costellata di eroi, perché anche suo nipote Bar lo è, sono passati decenni dall’Olocausto, ma il ragazzo è intrappolato a Gaza, è stato catturato il 7 ottobre e l’ultima immagine che Michael ha visto di lui è in uno dei video che Hamas ha diffuso per vantarsi della sua efficienza nell’uccidere ebrei. Nel video Bar è a terra, con le braccia legate dietro la schiena: poteva essere lì come a Chisinau ottant’anni fa. A un uomo che ha vissuto nella foresta, negli scantinati, vivo grazie alla fame di resistenza di sua madre, che non era disposta a morire soltanto perché ebrea, quell’immagine ricorda le persecuzioni subite, l’assenza di suo padre, passato dai lager ai gulag. Bar lavorava come paramedico al Nova festival, quando Hamas iniziò a sparare rimase lì ad aiutare i compagni feriti, un suo amico sopravvissuto ha raccontato che anche lui avrebbe avuto l’occasione di scappare, ma è rimasto e i terroristi lo hanno portato via sulle loro jeep. Michael aspetta, lui e tutta la sua famiglia hanno delle magliette con la faccia di Bar, non sanno nulla, ogni mattina la lista delle domande ricomincia da capo, l’incredulità si rinnova: come è stato possibile? Dallo scantinato di Stalingrado, dalla foresta in Moldavia, dal treno per Tashkent, Michael non è uscito mai del tutto, ha continuato a rimanerci dentro, come tanti sopravvissuti, che non hanno smesso di domandarsi: perché proprio io? Alcuni, come Michael, oggi hanno qualcuno intrappolato nella Striscia che vive il vuoto e la domanda è al contrario: perché proprio loro?...

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