Chi tanto e chi niente. I Comuni sono i grandi sconfitti del nuovo Pnrr Il baricentro del Piano (ri)negoziato da Palazzo Chigi

è sbilanciato dalla parte delle imprese e dell’agricoltura, mentre a perderci sono l’ambiente e gli enti locali: ai sindaci sono stati sottratti dieci

27.11.2023 Linkiesta, linkiesta.it lettura2’

La grande esultanza del governo per il via libera di Bruxelles alla revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza è già stata smorzata da gelosie e insoddisfazioni. I grandi sconfitti della rimodulazione del Pnrr infatti sono gli enti locali: ai sindaci sono stati sottratti dieci miliardi di euro, e altri tre, per le periferie e i Piani urbani integrati, sono stati invece ripristinati dopo la decurtazione di inizio agosto – quindi è solo un contentino.

Vincono le imprese, perdono i Comuni, sintetizza Repubblica. Nell’articolo firmato da Giuseppe Colombo si dice che «c’è chi è soddisfatto per il gran rimescolamento finale e chi, al contrario, è scontento perché nell’ultimo atto ha perso soldi e quindi peso. Vale per i soggetti direttamente coinvolti nell’attuazione del Piano, ma anche per gli attori che gravitano intorno, associazioni di categoria invece che ministri».

Il baricentro del nuovo Piano già traballa. I dieci miliardi tolti alle città sono finiti dentro RepowerEU, quindi alle imprese e alle partecipate di Stato che gestiscono i progetti per le infrastrutture energetiche. Il semaforo verde di Bruxelles ha permesso anche l’aumento, da quattro a 6,3 miliardi, della dote di Transizione 5.0 per i crediti d’imposta alle imprese green e digitali. Poi ci sono anche 2,5 miliardi per le filiere strategiche.

Gli slittamenti dei fondi da un settore all’altro fanno anche esultare, o protestare, i singoli ministeri. Il titolare del dicastero delle Imprese, Adolfo Urso, ha vinto il suo personale braccio di ferro. Peccato che dall’altro lato del tavolo ci fosse Gilberto Pichetto Fratin: «Il ministro dell’Ambiente – scrive Repubblica – ha portato a casa anche impegni di spesa più consistenti su alcuni capitoli, ma ha dovuto lasciare andare i trecento milioni per la produzione di biocarburanti, oltre a prendere atto del grande taglio (un miliardo) per la riconversione dell’ex Ilva di Taranto, già acquisito a fine luglio. Su tutte, la rinuncia a quattro miliardi per l’ecobonus e a 2,3 miliardi per l’efficientamento energetico destinati all’edilizia residenziale e popolare. Tagli che hanno aperto una ferita nel mondo delle imprese: dopo la scure del governo sul Superbonus, i costruttori speravano nei nuovi incentivi per rilanciare i cantieri. E invece sono rimasti a bocca asciutta».

Adesso la palla passa nel campo di Raffaele Fitto, ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr. Sarà lui a dover dialogare con gli sconfitti, soprattutto con i comuni, per capire come finanziare i progetti cancellati dal Piano con altre risorse. Domani, c’è il primo round.

«Se Fitto deve misurarsi con le proteste dei primi cittadini», è la conclusione dell’articolo di Colombo su Repubblica, «il collega Francesco Lollobrigida è decisamente più sereno: i fondi gestiti dall’Agricoltura sono passati da 3,6 a 6,5 miliardi, grazie soprattutto agli oltre 2 per i contratti di filiera. E le battute finali della revisione hanno premiato anche Matteo Salvini: 1 miliardo per la rete idrica, altrettante risorse per il trasporto regionale e fondi per il potenziamento di alcune linee ferroviarie al Nord. Alla ricerca di risorse è invece il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, dopo il taglio di 100 mila nuovi posti negli asili nido. Non è il solo. Il titolare della Salute Orazio Schillaci deve aggrapparsi ai residui del Fondo nazionale per l’edilizia sanitaria per salvare le Case e gli ospedali di comunità».

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