SARI NUSSEIBEH “VEDO MOLTE ANALOGIE TRA L’IDEOLOGIA DEL MARTIRIO DI HAMAS E QUELLA DEI COLONI EBREI..
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ENTRAMBI HANNO UNA VISIONE DEL MONDO TEOLOGICA CHE GIUSTIFICA IL LORO RADICALISMO” - L’INTELLETTUALE PALESTINESE SARI NUSSEIBEH:
16.11.2023 dagospia.com lettura2’
MENTRE GAZA VIENE COLPITA IN MODO TANTO CRUDELE, MI SEMBRA CHE LA GENTE SIA TALMENTE DISPERATA DA ESSERE PRONTA A TUTTO. LA FILOSOFIA DEL MARTIRIO PREVALE. NON SENTO PROTESTE, MA APPELLI ALLA GUERRA SANTA. LE NUOVE GENERAZIONI DI GAZA NON ERANO MAI ANDATE OLTRE LA RETE IMPOSTA DAGLI ISRAELIANI: QUEI RAGAZZINI CONSIDERANO I GUERRIGLIERI DI HAMAS DEGLI EROI…”
Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
«[…] sono preoccupato nell’immediato e anche per il futuro. Posso solo sperare che si torni a ragionare razionalmente. Perché non escludo affatto una guerra generalizzata in Medio Oriente, con il coinvolgimento di Teheran, l’Hezbollah libanese e altri».
Considerato […] l’intellettuale palestinese più rilevante, docente di filosofia, ex rettore dell’università Al Quds, il 74enne Sari Nusseibeh ci ha ricevuto nella sua villa a Gerusalemme est.
Cosa non ha funzionato dopo gli accordi di Oslo?
«La crescita degli estremismi. […] I due radicalismi si alimentano a vicenda. In Israele i coloni e la destra religiosa predicano la necessità di scacciare all’estero i palestinesi, che per loro è anche la realizzazione di un disegno divino. Hamas fa lo stesso in nome dell’Islam e ciò ora è rinfocolato dai massacri perpetuati a Gaza, che stringono il cuore».
Lei venne aggredito dai suoi studenti e le ruppero un braccio perché negoziava con il Likud conservatore…
«Avvenne prima dello scoppio dell’Intifada nel dicembre 1987. Si cercava un’intesa tra il nazionalismo israeliano e il Fatah, il gruppo di Arafat. […] noi palestinesi allora avevamo un’organizzazione unica che ci rappresentava. Oggi siamo divisi e gli israeliani ne approfittano, ci trattano come gruppi isolati. Non c’è un progetto unico».
Lamenta l’assenza di una sinistra israeliana con cui dialogare?
«Esistono contatti isolati, del tutto personali. E da dopo il 7 ottobre gli israeliani avvertono la necessità di ristabilire la deterrenza, prevale il linguaggio della forza. […] I coloni vengono armati e hanno la luce verde per colpire a piacimento, i loro crimini restano impuniti».
Non crede che Israele voglia punire come fece con Hezbollah nel 2006, una reazione durissima che tolga ogni popolarità all’opzione militare e screditi Hamas?
«Forse più avanti. Ma adesso, mentre Gaza viene colpita in modo tanto crudele, mi sembra che la gente sia talmente disperata da essere pronta a tutto. La filosofia del martirio prevale. Non sento proteste, ma appelli alla guerra santa. L’essere umano giunge a un grado di sofferenza tale che non si interessa più al suo destino individuale. Le nuove generazioni di Gaza non erano mai andate oltre la rete imposta dagli israeliani.
Quei ragazzini considerano i guerriglieri di Hamas degli eroi che hanno aperto la prigione indicando la via della libertà. Vedo molte analogie tra l’ideologia del martirio di Hamas e quella dei coloni ebrei: entrambi hanno una visione del mondo teologica che giustifica il loro radicalismo».
I palestinesi come vedono l’orrore del 7 ottobre?
«È letto in genere come un successo militare che ha infranto il mito dell’invincibilità del nemico e ha riportato la questione palestinese al centro dell’attenzione. In genere pochi credono alla narrativa israeliana degli abusi contro i civili. Molti ritengono che tanti morti ebrei siano stati provocati poi dalla reazione dei soldati».
E le conseguenze?
«[…] Siamo tornati indietro di decenni, siamo alla disumanizzazione reciproca. […]».
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