1-L'EDITORIALE DEL DIRETTORE La pace passa dalla distruzione di Hamas (e dalla costruzione di una fase due). Lezione dell'Economist

2- Le piazze contro Israele sono il frutto di una campagna iniziata trent'anni fa, dice Vidino. 3.Nel Libano senza governo né risorse Hezbollah non può solo prendere ordini dall'Iran

CLAUDIO CERASA e altri 04 NOV 2023 ilfoglio.it lettura4’

Proporre il cessate il fuoco è il modo migliore per allontanare la pace e rafforzare il gruppo terroristico permettendogli di continuare a governare su Gaza con la forza. La minaccia esistenziale di fronte alla quale si trova Israele

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Cos’è una guerra giusta? Poche ore prima dell’arrivo in Israele di Antony Blinken, segretario di stato americano, l’Economist ha messo in fila con un linguaggio asciutto, con una prosa chiara e con una logica cartesiana le ragioni minime per essere scettici e guardinghi di fronte a un’affermazione apparentemente innocua: “Cessate il fuoco”. In tutto il mondo, scrive l’Economist, si leva il grido per un cessate il fuoco e affinché Israele abbandoni la sua invasione di terra. Ma la verità è che oggi un cessate il fuoco è nemico della pace, perché consentirebbe a Hamas di continuare a governare su Gaza con la forza, con la maggior parte delle sue armi e con i suoi combattenti ancora in grado di arrecare lutti a Israele….

2--Intervista Le piazze contro Israele sono il frutto di una campagna iniziata trent'anni fa, dice Vidino

MAURO ZANON 04 NOV 2023

    

Era il 1993 quando alcuni militanti di Hamas mettevano a punto la loro strategia del consenso: oggi, complici le reti di relazioni che il gruppo terroristico vanta negli Stati uniti e in Europa, se ne scorgono i risultati. Parla il direttore del programma sull’estremismo alla Georges Washington University

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In alcuni dei più prestigiosi campus universitari, Princeton, Yale, Harvard, Stanford, e per le strade di diverse città degli Stati Uniti, le manifestazioni di odio anti ebraico e di sostegno nei confronti di Hamas, dopo il suo attacco terroristico contro Israele del 7 ottobre scorso, si sono moltiplicate. “Ma non dovremmo essere sorpresi. È il frutto di una campagna di influenza iniziata almeno trent’anni fa”, ha scritto sul Wall Street Journal Lorenzo Vidino, docente e direttore del programma sull’estremismo alla Georges Washington University ed esperto di islamismo in Europa e in America. È l’ottobre del 1993 quando l’Fbi mette sotto intercettazione una stanza d’albergo di Filadelfia, dove si sono riuniti una dozzina di membri di Hamas, alcuni dei quali residenti negli Stati Uniti. Per diversi giorni, il gruppo terroristico discute su come sabotare gli accordi di pace di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) – che agiva in rappresentanza del popolo palestinese – e su come generare un sostegno verso Hamas tra i musulmani americani, nella classe politica e più in generale nella società, ma anche tra i non musulmani….

3- ISTANBUL Nel Libano senza governo né risorse Hezbollah non può solo prendere ordini dall'Iran

CLAUDIA CAVALIERE 04 NOV 2023

    

Il paese è allo stremo e il gruppo musulmano-sciita aiuta la popolazione portando risorse. Per questo ogni decisione politica viene presa anche e soprattutto in funzione delle scelte del Partito di Dio

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Il Libano è il paese ai confini di Israele che fin dal 7 ottobre preoccupa di più: il lancio dei razzi, le risposte coi droni, i tentativi di incursione via terra accadono continuamente ma ora quasi tutti i giorni, in circa un mese di conflitto, sono stati registrati scontri, è stato ucciso un giornalista libanese, Issam Abdallah, colpito dal fuoco israeliano, sono state organizzate le evacuazioni dei cittadini di entrambi i paesi che vivono sul confine. Questi spostamenti sono stati decisi da Hezbollah – definito gruppo terroristico dagli Stati Uniti, mentre per l’Unione europea lo è solo la sua ala militare – e non dal Libano come stato: la parte meridionale e alcune aree della regione della Valle della Bekaa al confine della Siria rientrano nella giurisdizione del gruppo, così come i sobborghi a sud della capitale Beirut. Alcuni in Libano, invece, hanno scelto di rimanere: o come segno di resistenza o perché non avevano altro posto dove andare. “Entrambe le parti penso non vogliano che le cose degenerino: da parte israeliana per non avere un secondo fronte aperto nello stesso momento, mentre dal punto di vista di Hezbollah e dell’Iran, penso che, fino a quando la sopravvivenza di Hamas non sarà minacciata, decideranno di non intervenire”, dice al Foglio Ziad Majed, professore associato di studi mediorientali presso l’Università americana di Parigi

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