Il Medioevo in armi. Anche sulla guerra in Medio Oriente si può resistere alla polarizzazione senza cedere all’ignavia
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Non c’è nessun «doppio standard» occidentale: Gaza non è l’Ucraina. Ma non è nemmeno la Russia di Putin, e a Putin non dovrebbe essere consegnata
30.10.2023 Francesco Cundari, linkiesta.it lettura5’
Ci sono mille buoni motivi, oggi, per protestare contro l’assedio di Gaza e indignarsi per l’altissimo numero di vittime civili palestinesi. Personalmente, mi unirei volentieri al coro, se solo quel coro non avesse cominciato a cantare molto prima che Israele muovesse un dito.
Si è detto che il massacro del 7 ottobre sia paragonabile all’11 settembre 2001, persino superiore considerando il numero delle vittime in rapporto alla popolazione (millequattrocento morti su nove milioni di abitanti, senza contare i duecentotrenta ostaggi). Di sicuro, tra le atrocità di simili dimensioni ed efferatezza, è il massacro di civili che ha suscitato meno solidarietà degli ultimi cinquant’anni, almeno da queste parti (per non dire dell’entusiasmo con cui è stato celebrato altrove).
Solo poche ore dopo che Hamas aveva torturato, stuprato, sgozzato, bruciato vivi vecchi e bambini, donne incinte e persino neonati, quando le stesse piazze arabe avevano appena cominciato a mobilitarsi, erano le piazze virtuali della buona borghesia di sinistra a riempirsi di indignazione per la «narrazione a senso unico», il «doppio standard» e la «disumanizzazione» del nemico, inteso naturalmente come il popolo palestinese, in quanto vittima di tutti i bombardamenti e le violenze dei passati settant’anni.
Israele non aveva ancora reagito in alcun modo, ma per una larga fetta dell’opinione progressista, dall’università di Harvard negli Stati Uniti al bar Antonini nel quartiere Prati (che ormai ha pure cambiato nome, ma resta un simbolo sociologico), tutto quel che lo stato ebraico aveva fatto dal 1948 in avanti bastava e avanzava. Le uniche vittime, o comunque le sole su cui fosse giusto concentrarsi, erano i palestinesi. A prescindere.
Persino il rapimento di bambini di tre o quattro anni che si erano visti ammazzare i genitori davanti agli occhi, persino gli stupri, persino l’esecuzione a freddo di ragazzi rannicchiati nei bagni chimici di un concerto apparivano a tante di quelle brave persone una conseguenza più che comprensibile dei soprusi compiuti da Israele nel 1948 o nel 1973, o degli insediamenti illegali in Cisgiordania, o della politica del governo Netanyahu, o del mancato rispetto di un numero imprecisato di risoluzioni dell’Onu, o di una qualunque confusa combinazione di un certo numero di questi argomenti.
Ci sono mille buoni motivi, oggi, per condannare l’assedio di Gaza. Ci sono mille ottimi motivi per contestare la reale praticabilità dell’invito a lasciare le proprie case rivolto dall’esercito israeliano a centinaia di migliaia di civili innocenti. E ce ne sono altrettanti per non perdere di vista la distinzione tra chi comunque annuncia con giorni di anticipo dove intende colpire e perché, esortando i civili ad allontanarsi, e chi li va a cercare casa per casa, godendo sadicamente delle loro sofferenze e utilizzando i loro stessi profili social per terrorizzare e torturare familiari e amici.
La vediamo tutti, questa differenza? O per qualcuno di noi è una distinzione di lana caprina, un argomento capzioso, un dettaglio senza importanza?
Ma se davvero è un dettaglio, a fronte di tutte le violenze e sopraffazioni subite dal popolo palestinese, per quale ragione allora non avremmo dovuto dare ragione anche a bin Laden, ad al Qaeda e all’Isis, quando si comportavano allo stesso modo, avanzando gli stessi identici argomenti e le stesse identiche giustificazioni? Per quale motivo non ricordo associazioni di Harvard, né professoresse democratiche del quartiere Prati, ma solo sparute frange estremiste, con i primi precursori degli scoppiati no vax e no Nato di oggi, sostenere apertamente che la responsabilità dell’11 settembre era degli americani, che in fondo se l’erano cercata, e che i tagliagole di al Qaeda prima e dell’Isis poi avevano le loro ragioni?
Ci sono mille buoni motivi per contestare la reazione israeliana ai massacri del 7 ottobre. Ma bisognerebbe anche riconoscere che di risposte alternative, facili e ragionevoli, non ce n’erano molte a disposizione. Si può sostenere, senza bisogno di scivolare nell’odiosa ambiguità delle dichiarazioni pronunciate dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che la difficoltà della situazione in cui Israele si trova oggi è anche frutto degli errori e dell’estremismo del suo governo, a cominciare dall’illusione di poter rimuovere la questione palestinese e incoraggiare impunemente le sopraffazioni dei coloni, che in Cisgiordania solo negli ultimi due anni hanno fatto centinaia di morti tra i palestinesi.
Sono tutte argomentazioni più che fondate, che meritano di essere discusse. Ma i paesi che oggi accusano l’occidente di «doppio standard», uno per l’Ucraina invasa dalla Russia, l’altro per Gaza assediata da Israele, sarebbero più credibili se non muovessero questa accusa al fianco di Putin, dopo averne largamente giustificato i crimini. Se si fossero schierati a sostegno dell’Ucraina aggredita, forse la loro posizione apparirebbe ora qualcosa di più di un macabro e infantile «specchio-riflesso».
Oggi però non è possibile dimenticare nemmeno che sull’Ucraina proprio Israele ha tenuto una posizione non meno ambigua (ambiguità che peraltro dura tutt’ora, forse per via dei numerosi cittadini israeliani di origine russa, forse per via del ruolo di Mosca in Siria, forse e più in generale per un’estrema forma di realpolitik). Fa comunque un certo effetto vedere la Russia apertamente schierata con Hamas e con l’Iran. Una lezione che non dovrebbe essere dimenticata troppo in fretta dai tanti che fino a ieri, a destra, magnificavano il ruolo di Putin proprio come baluardo contro il fondamentalismo islamico.
È giusto dire che non c’è nessun doppio standard, che la Palestina non è l’Ucraina, paese aggredito senza motivo da una potenza ostile. Ma resistere alla nevrosi della polarizzazione significa riconoscere al tempo stesso che la Palestina non è nemmeno la Russia, e alla Russia non dovrebbe essere consegnata.
A dispetto delle tante bufale rilanciate dal variopinto fronte dei putiniani italiani, la guerra in Ucraina è una vicenda semplicissima, dove c’è una vittima e c’è un aggressore. La questione israelo-palestinese, al contrario, è forse uno dei problemi più intricati e controversi della storia umana. Qui sì che le cose sono più complesse, e non si lasciano dividere in nessuno schema manicheo.
Cercare di resistere alla polarizzazione del dibattito, sforzarsi di riconoscere le ragioni e i torti degli uni e degli altri, non può significare però l’ignavia dinanzi al significato e agli obiettivi dichiarati dello schieramento che va dalla Russia di Putin all’Iran degli Ayatollah, passando per Hamas, Hezbollah e la Siria di Assad, e la minaccia che quel fronte rappresenta. In pratica, il Medio Evo in armi.
Sarebbe ora che tanti movimenti di sinistra, femministi ed lgbtq+ ne prendessero coscienza, prima di ritrovarsi un giorno a spiegare anche alle donne iraniane in lotta per il diritto di non portare il velo, a rischio della propria vita, che sarebbero pure loro marionette della Nato. Proprio come gli ucraini assediati, bombardati e torturati da oltre un anno, nella cinica indifferenza se non addirittura nella sorda ostilità di una parte crescente della nostra opinione pubblica.