Sentenza storica a Milano Il Jobs Act salva i rider, i paladini dei diritti Schlein, Conte e Landini muti
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Il Jobs Act salva i rider, i paladini dei diritti Schlein, Conte e Landini muti, una sentenza che riconosce finalmente i diritti dei “riders”.
D. Faraone e PP. La Commare — 24.10. 2023 ilriformista.it lett.4’
Il Jobs Act salva i rider, i paladini dei diritti Schlein, Conte e Landini muti
Elly, Giuseppe, Maurizio, dove siete finiti? Avete perso la voce? Questo è ciò che ci siamo chiesti di fronte ad una sentenza storica del tribunale di Milano, una sentenza che riconosce finalmente i diritti dei “riders”. La segretaria del Pd, il leader del M5S e il segretario della Cgil non hanno detto una sola parola, non hanno scritto un post, pubblicato una card, promosso un video. Nulla di nulla. Quelli sempre dalla parte dei lavoratori, quelli che parlano di tutto e di tutti, di fronte ad una sentenza campale come questa, non riescono a dire nulla. Non vi teniamo in sospeso, facciamo lo spoiler già all’inizio di questo pezzo vi suggeriamo una risposta semplice, semplice: i “riders”, i fattorini che con una bici equipaggiata per la consegna, senza mai fermarsi, con qualsiasi condizione meteorologica, ci consegnano a domicilio la pizza o altri articoli a nostro piacimento per conto di piattaforme applicative web, hanno avuto riconosciuti i loro diritti grazie al Jobs Act. Per questo i tre dell’ave Maria non hanno pronunciato una sola parola. Li immaginiamo a confronto con i loro responsabili della comunicazione e alla richiesta: “diciamo qualcosa?” Ci sembra di vedere Fonzie quando non riusciva a chiedere “scusa” e si contorceva tutto se era costretto a farlo e tirava fuori un sibilo più che una parola.
Cari paladini dei diritti, state pure muti, ci fate più figura, ma almeno leggetelo il comma 1 dell’art.2 del Dlgs 81/2015: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Nella vicenda che da anni vede contrapposti i “riders” alle principali aziende leader del settore delle consegne a domicilio, la cui ultima “puntata” sono le due recenti sentenze della sezione lavoro del Tribunale di Milano, se ne intrecciano altre legate al tempo (sempre galantuomo), alla Politica (la maiuscola è voluta), all’onestà intellettuale ed alla memoria, vicende tutte che in quell’articoletto che riportiamo trovano fondamento, sviluppo e conclusione. Orbene cos’è successo? Le ricordate due pronunce del Tribunale milanese vedono soccombere Deliveroo Italy e Uber Eats Italy e trionfare i riders, che da lavoratori “autonomi” evolvono a lavoratori “coordinati e continuativi” con conseguente, aggiungono i giudici “obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l’Inps e per premi nei rapporti con l’Inail” per «l’orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell’Inps».
In buona sostanza, forse le due sentenze più incisive degli ultimi vent’anni sul tema della difesa dei diritti dei lavoratori trovano fondamento nel tanto vituperato Jobs Act che nella vulgata della politica (la minuscola è altrettanto voluta) italiana dell’ultimo decennio scarso è stato dipinto come il principale grimaldello della precarizzazione del lavoro in Italia. Curioso no? Dopo anni di battaglie giudiziarie, polemiche sindacali e proposte di illustri giuslavoristi, i riders avranno versati contributi previdenziali per decine di milioni di euro, grazie alla tutela giuridica ed economica introdotta dal Governo Renzi. E sì, proprio perché la loro collaborazione viene organizzata dal committente, la disciplina di riferimento deve essere quella dei lavoratori subordinati. In altri termini, come in precedenza aveva stabilito anche la Corte di cassazione, nella sentenza 1663 del 2020, il lavoro del rider si qualifica come una forma di lavoro autonomo a cui vanno applicate le tutele del lavoro dipendente, così come previsto da uno dei decreti legislativi del Jobs act (l’articoletto di inizio pezzo).
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Il nostro galantuomo, il tempo, aiuta a comprendere ed a restituire quello che al Jobs Act è stato tolto: la dimensione di un grande disegno riformatore basato su più pilastri (tra cui le tutele crescenti e le politiche attive) il cui fine ultimo era quello di rendere maggiormente dinamico il mercato del lavoro intercettando le spinte innovative di globalizzazione e nuove tecnologie senza rinunciare alla tutela dei diritti dei lavoratori stessi. Un disegno riformatore che onestà intellettuale avrebbe voluto completato in tutte le sue parti e non deformato e distorto in sterili polemiche di chi guarda al passato non accorgendosi, così facendo, di negare il futuro.
Ed allora la memoria, anche questa aiuta, perché dopo il jobs act abbiamo assistito ad abolizioni della povertà, strapuntini normativi durati lo spazio di tornata elettorale e privi di un qualunque significato giuridico e normativo, abbiamo assistito allo sventolio di bandiere ideologiche, nessuna riforma organica che servisse alle imprese ed ai lavoratori. Noi di Italia Viva siamo dispiaciuti per essere rimasti gli unici a difendere il jobs act, gli unici riformisti, allo stesso tempo siamo orgogliosi per i risultati che ha centrato e sta centrando nonostante i silenzi o le parole dette a vanvera dai detrattori conservatori.