Meloni è sola. Mattarella inizia a perdere la pazienza di fronte all’inconsistenza del governo

Il Capo dello Stato ieri è intervenuto per evidenziare le difficoltà del governo nelle operazioni e nell’assumersi le responsabilità

3.10.2023 Mario Lavia linkiesta.it lettura3’

Ormai non passa giorno senza che Sergio Mattarella faccia sentire la sua voce, e lo fa sempre in circostanze ufficiali e con misura, ma con indubitabile effetto politico. Anche ieri il Capo dello Stato è intervenuto per sottolineare, fra le altre, due questioni: la sanità e l’unitarietà dello Stato. «Il servizio sanitario del nostro Paese patrimonio prezioso da difendere e adeguare», ha detto con una frase apparentemente ovvia ma che nel contesto attuale suona come un monito a un governo che taglia questo comparto di due miliardi (mentre il povero titolare della Salute, il professor Orazio Schillaci, ne aveva chiesti quattro in più).

La questione sanità sta diventando drammatica. Attacca su questo Elly Schlein; Carlo Calenda lo fa da tempo e non si capisce perché non riescano a fare qualcosa insieme. Ma tornando al discorso che Mattarella ha tenuto a Torino, al Festival delle Regioni, c’è da dire che si è trattato del consesso ideale per ricordare che «la nostra Costituzione si ispira al principio e al lavoro dell’Autonomia, dove la Repubblica è una e indivisibile ma già all’articolo 5 riconosce e promuove le autonomia», un modo garbato per chiudere una volta di più alle smanie calderoliane e salviniane – vedi al capitolo autonomia differenziata.

Ovviamente, i ministri presenti si sono spellati le mani, comme d’habitude ogniqualvolta il Capo dello Stato bacchetta il Parlamento, come fece Giorgio Napolitano quando accettò la rielezione al Quirinale o come fa Mattarella quando ce l’ha con l’esecutivo. E infatti anche ieri ministri e governatori leghisti hanno applaudito i moniti del Capo dello Stato.

Eppure non sfugge a nessuno la freddezza, che cela un giudizio preoccupato, del Presidente verso gli attuali governanti, peraltro mai attaccati direttamente ma nemmeno sostenuti in questo o quel passaggio, in modo che le felpate bacchettate risultano a Palazzo Chigi ancor più dolorose. Tra le ultime, l’esternazione alla Assemblea di Confindustria a metà settembre: «No al dirigismo, no al protezionismo tipico delle esperienze autoritarie», aveva detto toccando non casualmente uno dei tratti salienti della cultura economica della destra non liberale nell’ambito di un grande discorso nel quale Mattarella ammoniva la politica «a non cavalcare le paure», una frase chiaramente pensata a proposito della campagna che il governo aveva iniziato a condurre in concomitanza dei ripetuti sbarchi a Lampedusa.

Perché il punto è che bisogna saper governare i problemi, nel senso di cercare di risolverli. Questo è al tempo stesso l’assillo del presidente della Repubblica e il punto dolente del governo, che invece ha preso a scaricare su altri le proprie manchevolezze e i propri ritardi – peggio di John Belushi nei “Blues Brothers” – e se c’è una cosa che la cultura politica cui Mattarella s’ispira non tollera è proprio la mancanza di assunzione delle proprie responsabilità. Peggio ancora poi se dagli scaricabarile si passa allo scontro istituzionale vero e proprio: da questo punto di vista l’inusitata sortita della presidente del Consiglio contro la magistratura di Catania segna un’escalation che il Colle stigmatizza pur evitando polemiche dirette, ma è facile ipotizzare che il presidente del Csm non tolleri che un magistrato venga sostanzialmente accusato di favorire l’immigrazione clandestina.

Certamente ci sarà il modo per rintuzzare quello che è un attacco all’indipendenza della magistratura, particolarmente inquietante in quanto proviene da una premier che mai si era avventurata in sparate di sapore berlusconiano e che guida un governo dove siedono due magistrati come Carlo Nordio e Alfredo Mantovano, il “garante” dei buoni rapporti tra esecutivo e toghe.

L’episodio, istituzionalmente grave, segnala una volta di più la condizione di stress personale di Giorgia Meloni, cui ormai la frizione slitta quotidianamente creando un pericoloso mix di arroganza e insipienza e alimentando l’inquietudine del Quirinale, ormai oggettivamente il principale se non unico argine allo scadimento dell’azione del governo.

E Sergio Mattarella, fateci caso, non si sta certo tirando indietro, con il suo stile e la sua saggezza, dinanzi all’evidente dissesto dell’azione di governo. Altro che complotti. È che Giorgia Meloni non ha sponde: è sola, con le sue paure.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata