Campo di BabeleL’incredibile inconsistenza della sinistra italiana. La freddezza tra Schlein e Conte mentre omaggiano i magistrati

gli operai della Magneti Marelli che non parlano con Calenda, la lista che raccoglie i putiniani televisivi,

Mario Lavia1.10.2023 linkiesta.it lettura3'

il nuovo direttore riformista del Mulino e il caos nell’ex Terzo Polo: il collage che ne viene fuori è sconfortante

Istantanee della sinistra italiana. Mettetele insieme e ne viene fuori altro che l’arcipelago franceschiniano: Babele al confronto è Oxford. La prima istantanea di queste ore è doppiamente significativa: alla riunione di Area, la corrente di sinistra dei magistrati, l’obiettivo ha immortalato Elly Schlein e Giuseppe Conte ben distanziati, immagine emblematica del grande freddo che è sceso tra i rispettivi partiti. Ci torniamo tra un attimo.

Prima qui si vuole rilevare il ristabilimento, o la conferma, di un asse politico tra i manettari del cosiddetto Movimento Cinque Stelle (ormai bisognerebbe parlare di “partito di Conte”) e il gruppo di magistrati di sinistra; con la compiacenza del “nuovo Pd” che sulla carta Schlein avrebbe potuto e dovuto indirizzare verso approdi limpidamente garantisti o comunque allergici alla contiguità con una corrente della magistratura che mantiene posizioni assai discutibili sul rapporto tra giustizia e diritti dei cittadini. Ma sul tema giustizia-politica la confusione è generale, a partire dall’enigma di un ministro culturalmente garantista come Carlo Nordio che dopo un anno sembra essersi inabissato tra le alte onde antilluministe di Matteo Salvini e i vari Fratelli d’Italia con la bava alla bocca, si parli di immigrazione o di criminalità. E come Conte il Pd va da Area, hai visto mai che come a bei tempi la magistratura possa dare una mano?

Tornando alla freddezza tra Schlein e Conte, ci sembra utile ricordare due cose che ormai sono chiarissime anche per i partigiani più settari del “campo largo”: più si insegue l’avvocato ex del popolo e più questi fa spallucce, rendendo dunque l’operazione-corteggiamento una pura perdita di tempo, oltre che di faccia; secondo, la recente conferma venuta da Conte della sua ostilità alla causa ucraina dietro la scusa del rifiuto “morale” di inviare armi a sostegno di Kyjiv lo esclude definitivamente – o dovrebbe escluderlo – dal novero degli alleati potenziali del Pd. Se la difesa della libertà è un discrimine, Conte è out.

Altra istantanea di due giorni fa, la scena davanti ai cancelli della Magneti Marelli a Crevalcore, dove gli operai si sono rifiutati di parlare con Carlo Calenda. Non è stata una bella cosa per il leader di Azione che, al di là del merito delle sue opinioni, ha probabilmente pagato il suo abituale atteggiamento, diciamo così, troppo sopra le righe nei confronti della Cgil. Calenda è un leader politico che dice come la pensa esattamente come la pensa, senza troppe mediazioni intellettuali o di forma, ma appunto essendo un uomo politico sarebbe buono per lui se trovasse il modo di far capire che la sua critica non è un insulto: ma se la gente la prende così non è colpa delle gente, è colpa sua. Detto questo, viene in mente una vecchio adagio dei vecchi comunisti tra i più sbagliati che recitava «meglio aver torto con la classe operaia che avere ragione contro di essa». E no. Calenda ha posto in maniera ruvida un problema vero, e cioè quello dell’assenza di iniziativa da parte di tutti, sindacati e partiti, sullo stato di sostanziale declino della parte italiana di Stellantis: ha posto, paradossalmente, una questione “da sinistra”. Ha toccato un nervo scoperto. Ora, se la risposta degli operai è voltare le spalle, non ci siamo proprio. Si calmino tutti e si discuta nel merito, tenuto conto che da anni la politica e la sinistra si occupano talmente poco della questione industriale che quando lo fanno o non sono capiti o dicono cose abbastanza scontate, come Schlein aveva fatto sempre a Crevalcore.

Terza istantanea: la riunione romana nella quale Michele Santoro ha lanciato per l’ennesima volta l’idea di una lista alle europee, una lista, beninteso, “pacifista”. Inutile negare che l’impresa ha ben poche possibilità di riuscita, già l’anno scorso voleva fare “il partito che non c’è” e infatti non ci fu. Per il momento stanno aderendo i putiniani televisivi e non che in realtà stanno passando di moda: Marc Innaro, Donatella Di Cesare, Vauro, Luigi de Magistris, Ginevra Bompiani, per dirne alcuni. Le premesse per un flop alla Ingroia ci sono tutte. «Resta forte il dubbio», ha scritto Stefano Cappellini, «che talvolta sia la mancanza di un programma e di una platea televisiva a ispirare l’urgenza di crearsi un pubblico altrove». Probabilmente ha ragione.

Di segno opposto un’altra istantanea, stavolta scattata a Bologna, dove è cambiato il direttore della prestigiosa rivista del Mulino, da anni cenacolo di assoluto livello intellettuale nell’area della sinistra e del centrosinistra. Lasciato l’incarico da parte di Mario Ricciardi, intellettuale vicino al “nuovo Pd” schleiniano e severissimo critico di terze vie e renzismi, gli succede lo storico Paolo Pombeni, che ha superato l’altro candidato Piero Ignazi. Pombeni è su posizioni molto più aperte al filone riformista del suo competitor, e dunque questa è una istantanea interessante che in questa fase nella quale vanno forte i radicalismi va un po’ controcorrente.

Infine, l’ultimo scatto riguarda Ettore Rosato che, dopo aver costruito una relativa suspence, ha sciolto la riserva sul suo futuro abbandonando Italia viva dopo il fallimento della costruzione del Terzo Polo che egli evidentemente addebita a Matteo Renzi. Ma per il momento Rosato non passa ad Azione, se ne sta in una terza posizione (la sua) in attesa degli eventi. Più passa il tempo più che quest’area si sfrangia, e questa è una istantanea della confusione che regna persino in un’area politica non affollatissima.

Mettete insieme i pezzi, il collage che ne viene fuori è abbastanza sconfortante per chi abbia a cuore le sorti dell’opposizione politica italiana.

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