USTICA, AMATO, MACRON/ A chi giova disfare il lavoro di Mattarella?
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Se Amato su Ustica non parla a vanvera, perché lo fa? Una dato politico è certo: le sue “rivelazioni” complicano il lavoro di Governo e Quirinale
04.09.2023 - Anselmo Del Duca, ilsussidiario.net lettura3’
Una premessa doverosa. Il soprannome di Giuliano Amato è “Dottor Sottile”. Se l’è guadagnato sul campo, decenni fa, per l’acume delle sue analisi giuridiche e politiche. Difficile che parli a vanvera. Se ha deciso di riaccendere i riflettori sul disastro di Ustica, è giusto e legittimo interrogarsi sul perché.
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Lasciano perplessi le ipotesi di un’alzata d’ingegno, o di un volersi sgravare la coscienza. Perché su Ustica piena luce non è stata fatta, e le verità giudiziarie sono almeno due. Quella della giustizia penale e quella della giustizia civile. La prima (Cassazione, 2007) esclude lo scenario del duello aereo sui cieli del Mar Tirreno, la seconda (Palermo, 2011), è andata in direzione opposta, condannando lo Stato italiano a risarcire le famiglie delle 81 vittime per non avere saputo garantire la sicurezza dei trasporti. In quel procedimento la tesi del missile francese fu sostenuta anche da Francesco Cossiga, nel 1980 presidente del Consiglio, in linea con le parole di Amato di oggi.
L’intervista dell’ex premier ed ex presidente della Consulta è stata vivisezionata, in molti ne hanno evidenziato le contraddizioni. I punti salienti sono sostanzialmente tre: l’aereo Itavia fu abbattuto da un missile francese sparato per errore nell’ambito di un’azione tesa a colpire il leader libico Gheddafi, il quale scampò all’agguato (teso da francesi e americani) in quanto avvisato dal segretario socialista Bettino Craxi. Terzo elemento: l’esplicita richiesta al presidente francese Macron di scoprire le carte e chiedere finalmente scusa.
Se l’ipotesi del duello aereo è controversa, quella che sia stato Craxi ad avvertire il colonnello di Tripoli viene smentita dai figli del leader socialista: fu nel 1986, da presidente del Consiglio, che Craxi salvò Gheddafi dal bombardamento americano, nel 1980 era solo segretario del Psi, non aveva accesso alla stanza dei bottoni. Peraltro il portavoce di Cossiga dell’epoca, Luigi Zanda, convinto della tesi del duello aereo, sostiene che furono i servizi segreti italiani ad avvisare Gheddafi nel 1980, non Craxi.
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Ma è il terzo elemento, quello tutto politico rivolto a Macron, a porre i maggior interrogativi. Perché la richiesta esplicita di un’assunzione di responsabilità rappresenta un dito nell’occhio di rapporti Roma-Parigi non proprio idilliaci, con un amore mai nato fra Meloni e Macron, appena bilanciato dall’amicizia consolidata fra Eliseo e Quirinale.
Non che Mattarella sia insensibile al tema, tutt’altro. Basta ricordare un passo del messaggio per l’anniversario della strage, nel giugno scorso: “Quando avvenne la tragedia, una cappa oscurò circostanze e responsabilità. Fu difficile aprire varchi alla verità sulla strage; anche a causa di opacità e ambiguità”. Per il Capo dello Stato, quindi, il caso non è del tutto chiuso. Ma tirare in ballo Macron a quel modo non può essere condivisibile. Da qui il silenzio del Colle, che fa il paio con la cautela estrema del Governo, con l’esplicito invito di Meloni ad Amato a dire tutto quello che sa. La presidente del Consiglio e Crosetto si trovano anche a fronteggiare il malumore dei militari, che si sentono delegittimati in un momento delicato, e si appellano alla sentenza penale, che ha assolto i vertici dell’Aeronautica dell’epoca.
Vista la sfilza di motivi di attrito oggi esistenti fra Italia e Francia, forse bisogna cercare altrove. Sul piano europeo a dividere ci sono la questione dei migranti e la rinegoziazione del Patto di stabilità. E poi l’Africa, con visioni divergenti sulla Libia e la Tunisia, e la fascia subsahariana flagellata dai colpi di Stato che stanno mettendo in crisi la strategia transalpina (ultimi Niger e Gabon), e preoccupando la Farnesina, che teme nuove ondate di profughi in rotta verso nord, attraverso il Mediterraneo.
Restano poche ipotesi, a questo punto. Conoscendo gli storici rapporti fra Amato e gli ambienti a stelle e strisce, il cattivo pensiero che è difficile scacciare è che la sua intervista non sia destinata a rimanere isolata. Una maniera, insomma, di mettere la Francia sotto pressione. Ci vorrà poco a capire se si tratta di una lettura esagerata: basta che le parole di Amato non rimangano un caso isolato, si capirà nel giorno di qualche settimana.