La giustizia, che non risponde al dolore. E un ricordo di Cicciomessere
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Lì vidi un giovane inerpicato su una scala di legno che incollava manifesti a una parete. Roberto Cicciomessere era infaticabile, non l’ho mai visto con le mani in mano
27 MAG 2023 lttere Direttore ilfoglio.it lettura2’
Al direttore - Ho letto con interesse misto a preoccupazione l’intervista rilasciata da Franco Roberti, ex procuratore nazionale Antimafia e antiterrorismo, oggi parlamentare del Pd, neanche a dirlo, che su Repubblica ha rivolto un appello preciso, ragionando sul caso Colosimo. “Il problema è quello di una presidente della commissione Antimafia che va contro le associazioni dei famigliari delle vittime: ha diviso un campo che deve restare unito”. Mi sono dunque chiesto: che giustizia è quella che sceglie di tarare la sua attività sulla necessità di dare una risposta al dolore?
Luca Marini
Lo abbiamo scritto molte volte sulle nostre pagine. Una giustizia che si preoccupa prima di tutto di rispondere al dolore è una giustizia che sceglie di mettersi al servizio del tribunale del popolo. E una giustizia che sceglie di mettersi al servizio del tribunale del popolo è una giustizia che di solito considera la ricerca degli applausi più importante della ricerca delle prove. Con tutto il rispetto possibile, non un grande affare.
Al direttore - La prima volta che entrai nella sede di via di Torre Argentina 18 (erano gli anni Settanta) per fare la mia prima tessera radicale e mossi incerti passi in quell’antro pieno zeppo di carte e ciclostilati, ascoltai un fischiettare allegro e deciso. Erano le note della Marsigliese e seguendo l’inno rivoluzionario entrai nell’enorme salone. Lì vidi un giovane inerpicato su una scala di legno che incollava manifesti a una parete. Roberto Cicciomessere era infaticabile, non l’ho mai visto con le mani in mano. Militava con uno spirito militare che solo un antimilitarista come lui (che si era fatto mesi di galera per renitenza alla leva fra Peschiera e la Sardegna) poteva manifestare. Aveva un carattere aspro ma sotto la scorza – se ci si arrivava – dolce, che fra l’altro gli era valso la fama di gran seduttore di ragazze belle e intelligenti e giovani, ventenni o poco più (avrebbe sì avuto anche grandi amori, ma lo sarebbe rimasto fino all’ultimo, presidiando tutte e tre le doti delle donne da cui veniva conquistato). La modalità di Roberto era spesso urticante, perfino davanti a Pannella, sia nel modo di esporre le idee che nella postura che, a chi non lo conosceva, poteva addirittura sembrare minacciosa. Cosa che capita alle volte a chi pratica la nonviolenza, che è un esercizio costante di contenimento e sublimazione delle correnti laviche che attraversano il fondo di ogni animo umano, tanto più se si è appassionati alla vita e alle idee, alla libertà e alla bellezza, e si è quindi consapevoli del rischio costante cui sono esposte. Roberto era buono, profondamente, e intelligente come pochi. Amava il lavoro e lo studio solitario e le lotte politiche condivise con pochi o tanti, senza mai cercare visibilità a buon prezzo. Ha costruito pezzo su pezzo la sua vita radicale con determinazione e costanza, senza salti o rimbalzi, con la coerenza invidiabile di chi è coerente con se stesso e la propria indole. Era tanto operoso quanto curioso: negli anni in cui internet era soltanto una misteriosa prospettiva, era la fine degli anni Ottanta, aveva dato vita nell’ambito delle iniziative del Partito Radicale, insieme a pochi altri, ad Agorà telematica, forse la prima web society capace di promuovere in Italia l’innovazione tecnologica e lo sviluppo della rete. Cercando negli archivi di carta o della Radio Radicale si troverà traccia dei suoi impulsi, dei suoi scossoni e delle sue analisi in ogni passaggio cruciale tanto della prassi che della teoria radicale, tanto nel libertarismo originario quanto nella riproposizione einaudiana – fusa nella lezione di Ernesto Rossi – della forza emancipatrice delle libertà economiche, della concorrenza, della contestazione del consociativismo economico regressivo e corruttore. Questo era il tema che più lo aveva impegnato negli ultimi anni, e che, quando il suo lavoro verrà alla luce, rappresenterà, ne sono sicuro, una sorprendente scoperta per tutti noi. Ora che se ne è andato anche lui nel Paradiso non c’è più pace.
Marco Taradash
Un abbraccio alla grande famiglia radicale.