La rivendicazione della Russia sull'Ucraina

La memoria cortissima dei tifosi di Putin, non abbiamo imparato nulla dal passato

Paolo Guzzanti — 2 Febbraio 2023il riformista lettura4'

La memoria cortissima dei tifosi di Putin, non abbiamo imparato nulla dal passato

Questa guerra di cui dobbiamo discutere azzuffandoci ogni giorno sui giornali e nelle televisioni, sta diventando un’altra buffa guerra. Ricorderete che il nome di “buffa guerra” o “Phony War” o “Drôle de guerre”, fu il nome sarcastico dato ai primi otto mesi della Seconda guerra mondiale, quando ancora erano in pochi ad aver capito di trovarsi nella Seconda guerra mondiale. Il mondo che aveva chiuso la prima guerra, fino al 1939 non aveva fatto altro che registrare e accompagnare colpi di Stato, insurrezioni, repressioni e nuove guerre.

Per questo motivo il giovane economista John Keynes che faceva parte della delegazione britannica alla conferenza di pace di Versailles, vista la folle intransigenza del presidente americano Thomas Woodrow Wilson e del primo ministro francese George Clemenceau nel castigare l’incolpevole popolo tedesco della Repubblica di Weimar, sbatté la porta per tornarsene a casa dicendo che erano tutti criminali di guerra coloro che firmavano la pace. Fu chiamata “la guerra buffa” perché quando i tedeschi invasero la Polonia il Primo settembre del 1939 seguiti due settimane dopo dai sovietici nella stessa impresa, di malavoglia i governi francese e inglese dichiararono guerra a Hitler senza muovere un dito per otto mesi durante i quali i polacchi scrutavano i cieli e gli orizzonti, senza veder arrivare armi e uomini.

I pacifisti francesi, inglesi e americani scesero in strada per chiedere che i loro Paesi non entrassero in guerra chiamando guerrafondai, assassini dalle mani grondanti sangue, trafficanti di armi e assassini coloro che volevano impedire il successo delle armate con la svastica. Le altre armate con la falce e il martello erano impegnate a conquistare la Finlandia e i paesi baltici secondo gli accordi con Hitler e Stalin aveva dato ordine a tutti i comunisti del mondo di onorare le imprese tedesche cosa cui lui stesso si dedicò con appassionati telegrammi tuttora leggibili sulle bacheche della Pravda e la sinistra mondiale si sfasciò. Il partito comunista francese fu messo al bando per tradimento e l’autore della Fattoria degli animali George Orwell dichiarò che i pacifisti andavano considerati “oggettivamente fascisti”.

La buffa guerra si trascinò alla stracca con qualche piccola operazione militare in Norvegia per tagliare le risorse petrolifere che i tedeschi si erano già assicurati da Stalin, e poi la catastrofe: le armate tedesche dilagarono nei Paesi Bassi e in Francia, costrinsero gli inglesi a tornare a casa a nuoto beffandosi di tutti i piani e le esperienze dei grandi strateghi. Churchill aveva bocciato con parole di fuoco il pacifismo – l’“appeasement” del suo predecessore Chamberlain dicendo: “Hanno sacrificato l’onore per la pace ed avranno sia la guerra che il disonore”. Il resto dovrebbe essere noto, ma in realtà non lo è granché. Che senso hanno queste mie righe? Sono banali perché tornano su fatti noti e arcinoti e, al tempo stesso, dovrebbero essere scandalose, perché rievocano fatti di ieri che hanno molto a che fare con quelli di oggi: l’invasore che ottiene la solidarietà di fatto dei pacifisti e la derisione, la messa in perenne stato d’accusa di coloro che vorrebbero se non sconfiggere l’aggressore, almeno convincerlo del fatto che la sua turpe impresa non ha probabilità di successo.

E che se ne avesse, allora sarebbe la peggior ora della Storia dei nostri due ultimi secoli, perché si stabilirebbe che cento milioni di esseri umani sono morti invano nelle due guerre del Novecento, per stabilire il principio secondo cui mai più alcuno Stato sovrano potrà impunemente aggredire e depredare un altro Stato sovrano.

Che cosa è successo? Ve lo dico io. È successo che sono tutti morti. È successo che nessuno di quelli che c’era sia ancora vivo, i più anziani che ancora ricordano sono quelli come me che hanno l’età dei bambini che passarono come fumo nei camini di Auschwitz.

Del resto, senza andare troppo lontano: quanti anni bisogna avere per ricordare bene l’immane tragedia delle coscienze mondiali per la guerra nel Vietnam o per le invasioni russe nel campo comunista usando i carri armati a Potsdam, a Budapest, a Praga e poi in Afghanistan? Non è rimasto nulla, neanche in televisione. Scrivere quel che è accaduto è un’impresa editorialmente fallimentare. Chi è che oggi può ricordare con la stessa emozione e indignazione l’undici settembre di New York, o l’invasione dell’Iraq per inesistenti armi di distruzioni di massa?

Avete notato come i soldati combattenti non hanno più uniformi che li distinguono: oggi chi muore nel fango indossa una tuta detta mimetica, piena zeppa di ordigni tecnologici e radiofonici.

Muoiono così tutti uguali riscoprendo la ferocia antica che credevamo sopita delle uccisioni di massa, delle torture, degli stupri, presa degli ostaggi, esattamente come accadeva ai tempi di Giulio Cesare ma anche prima ai tempi di Ramsete l’egiziano e anche dopo, da Carlo quinto a Napoleone. Si dovrebbe dunque qualunquisticamente concludere come al bar che la guerra è guerra, e che l’uomo è una bestia? Sarebbe un gran peccato perché l’umanità è andata avanti comunque, molto avanti fra milioni di morti, abusi, torture, stragi di innocenti e patti calpestati, arrivando a far solidificare una modesta crosta sugli abissi della morte e delle guerre: quella delle leggi e delle convenzioni delle Nazioni Unite e di tutte le altre baracche spesso incapaci ma comunque presenti, che almeno simbolicamente hanno potuto per ottant’anni far sperare nel tanto citato mondo migliore.

Questo non è un mondo migliore: basta ascoltare leggere e sfogliare per scoprire non solo che siamo tornati “da capo a dodici” ma che tutti invocano il diritto di non sapere e non ricordare. Sì, è molto amata e bene accolta la senatrice a vita Liliana Segre che porta la sua memoria del delitto più infame della Shoah. Ma la stessa senatrice ha dovuto rendersi conto che la memoria non può essere un dovere se non è accompagnata da un vissuto emotivo che la tenga accesa e non può essere imposta a suon di lapidi e di discorsi.

Quel che intendo è che tutto il chiacchiericcio che accompagna la temeraria impresa del presidente russo animato soltanto dal desiderio di ricostituire un impero perduto, costituisce già una disfatta e un insulto per le generazioni che hanno sofferto e visto soffrire. In quelle generazioni mi metto anch’io perché ho vissuto la guerra con milioni di altri bambini e conosco il suo strascico di angoscia per una morte certa e improvvisa che ha devastato le nostre vite diverse: quelle di coloro che c’erano, che ricordano, che hanno respirato la paura e si sono nutriti di carni marce prendendo la tubercolosi. Ve la darei io la Nutella.

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