L'inciampo sul Trattato del Quirinale, gli strafalcioni sul Mes. Sull'Ue Meloni sbanda

- CONTINUITÀ E IDENTITÀ In Europa, a Meloni manca lo slancio per far andare veloce l'Italia. - Urge un'idea per il Pd. Il governo si accanisce sui rave ma non sui vaccini

30.12.2022 Valentini, Cerasa da ilfoglio.it lettura4’

L'inciampo sul Trattato del Quirinale, gli strafalcioni sul Mes. Sull'Ue Meloni sbanda

VALERIO VALENTINI 30 DIC 2022

    

Dice di non conoscere l'accordo con Parigi, che il suo partito critica con toni complottisti: quasi fosse ancora leader dell'opposizione. Sul Fondo salva stati snocciola numeri e argomenti farlocchi. Così, ogni volta che si parla di Europa, la premier torna alla propaganda sovranista

Forse Giorgio Manganelli ne avrebbe riso, lui che il buon lettore di professione lo individuava in chi sapesse anzitutto quali libri evitare. “Non l’ho letto e non mi piace”, era il motto. Solo che qui non siamo alla critica letteraria, ma all’arte del governo. E dunque è quantomeno bizzarro sentire Giorgia Meloni dire che “i contorni del Trattato del Quirinale non mi sono chiari perché non ho avuto modo di approfondirlo”. Né è meno inquietante che giustifichi questo suo snobismo verso l’accordo col ricordare che “io ho contestato il trattato perché il Parlamento non era stato coinvolto in questa vicenda”, se è vero che oggi non è più la leader di FdI, ma la presidente del Consiglio…

- CONTINUITÀ E IDENTITÀ In Europa, a Meloni manca lo slancio per far andare veloce l'Italia

CLAUDIO CERASA 30 DIC 2022

    

La premier va dritta lungo la via segnata da Draghi sul 70 per cento dei temi, poi ci sono le deviazioni su immigrazione, pandemia e sulla mania di puntare bandierine ideologiche che fan perdere tempo e risorse

Il punto è tutto qui: settanta per cento continuità, trenta per cento identità. I temi affrontati ieri da Giorgia Meloni nel corso della sua prima conferenza stampa di fine anno da presidente del Consiglio confermano che la pericolosa scommessa fatta qualche settimana fa da Carlo Calenda, leader del Terzo polo, ha sempre maggiori probabilità di non avverarsi. Calenda, ricorderete, all’inizio della stagione meloniana arrivò a dire che il governo di centrodestra avrebbe avuto una vita molto complicata, praticamente impossibile, e in una serie di interviste perentorie, alla fine di ottobre, fece tre previsioni. La prima: il governo Meloni durerà sei mesi. La seconda: il governo Meloni terrorizzerà i mercati. La terza: il governo Meloni sarà dilaniato dalle sue divisioni interne. All’epoca vi erano buone ragioni per pensare che il governo Meloni avrebbe incontrato sulla sua strada diversi ostacoli, non così tanti forse da giustificare una previsione di poche settimane di vita, ma due mesi dopo, a conti fatti, alla luce di come si è mosso finora il governo, e anche alla luce di una serie di temi emersi ieri nel dialogo con i giornalisti, ci sentiamo pronti noi per una previsione altrettanto spericolata….

- Urge un'idea per il Pd. Il governo si accanisce sui rave ma non sui vaccini

30 DIC 2022

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - L’articolo del direttore Cerasa su come costruire l’opposizione al governo Meloni merita qualche riflessione. Perché da come declineremo la nostra opposizione, definiremo anche il futuro del Partito democratico e – si parva licet componere magnis – anche la prospettiva di una democrazia dell’alternanza in Italia. Partiamo anzitutto dal chiarire che, in democrazia, l’opposizione (o la minoranza, per usare una allocuzione morotea) non rappresenta una condizione di minorità mentale o culturale, ma una condizione essenziale per il funzionamento della democrazia. E, quindi, si possono (meglio: si devono!) fare gli interessi generali del paese facendo l’opposizione al governo. E, per farlo, occorre ripescare don Mazzolari, quando in una stagione di potere ricordava ai cattolici dell’epoca che era giunto il tempo di porsi all’opposizione, non di qualcuno, ma di se stessi. Ecco. Oggi per il Partito democratico vi è anzitutto – dopo stagioni di governo contraddistinte da una rincorsa “entrista” – l’esigenza di attrezzarsi per essere all’opposizione. Ma prima di porsi all’opposizione degli altri, dobbiamo farlo – per riprendere la riflessione mazzolariana – nei confronti dei nostri egoismi, delle nostre meschinità, se necessario – ripescando un Martinazzoli d’annata – anche delle nostre ambizioni. Ponendoci con questo stato d’animo, non moralista ma politico, potremmo ritrovare alla fine le ragioni vere del nostro impegno, e far riaffiorare – liberata delle scorie di un governismo a tutti i costi – l’idea originaria che ci ha portati a fondare il Partito democratico e che oggi possiede una fragorosa attualità. Fare l’opposizione non significa, per una forza che si propone la democrazia dell’alternanza e l’affermazione di una cultura riformista di governo, né il riflesso condizionato nei confronti del governo né l’ammiccamento consociativo. Ma significa proposta nel momento del diniego al governo: non solo gioco di rimessa, ma ripartenze! Significa inverare attraverso l’esercizio della minoranza parlamentare e con l’uso degli strumenti a essa affidata, la propria idea di paese. Alternativa rispetto a quella della destra, e come tale anche frutto della valutazione e delle scelte (che mi auguro siano profonde e decisive) che il Congresso è chiamato a compiere. A iniziare dalla politica delle alleanze, che deve essere figlia dei contenuti e delle prospettive, e non della rincorsa spasmodica a una sommatoria algebrica di sigle che non fanno una politica. Fare opposizione, quindi, non significa né ricorrere a facili quanto sterili Aventini, né giocare a chi urla di più. Anzi, l’urlo va conservato nei momenti in cui esso serve davvero, affinché sia più autorevole e più incisivo. La riscoperta delle nostre ragioni, la capacità di declinarle senza timidezze e senza il timore delle convenienze immediate, la valorizzazione delle nostre potenzialità nei gruppi parlamentari sono la chiave sulla quale si può e si deve articolare una opposizione riformista. Costruendo una azione su un pensiero.

Enrico Borghi

senatore del Pd

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