CANDIDARE ALLE POLITICHE LUCA ZAIA, MASSIMILIANO FEDRIGA E ATTILIO FONTANA PER ARGINARE IL CALO DI CONSENSI AL NORD

LIMITARE L'AVANZATA DELLA MELONI E SILENZIARE QUEL “PARTITO DEI GOVERNATORI” CHE DA TEMPO MUGUGNA PER LA SUA LEADERSHIP

11.8.2022 dagospia.com lett 3’

(SALVO POI SUBIRE IN SILENZIO, VEDI LA CADUTA DI DRAGHI…) – I TRE NOMI SERVIREBBERO ANCHE A RILANCIARE IL TEMA DELL'AUTONOMIA REGIONALE...

Ilario Lombardo per “La Stampa”La Lega ha perso il Nord dal simbolo nel 2020, e ora il Nord potrebbe chiedergliene il conto. Per questo è diventato imperativo categorico per Matteo Salvini tenere il fortino storico, tenere il suolo sacro della Padania, tenere l’anima del partito.

Tante cose saranno decise il 25 settembre. Tra queste, il futuro del segretario come leader della Lega, dopo nove anni di guida incontrastata, dopo una personalizzazione spinta che ha portato il Carroccio alle stelle (34 per cento nel 2019) e poi a una caduta che non sembra più arrestarsi. Il collasso potrebbe essere fatale se il partito scenderà sotto il 10% come qualcuno comincia a temere.

Per scongiurare uno scenario del genere vanno attivate le migliori forze. I governatori di Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia. Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana. I primi due sono indicati da anni come possibili alternative a Salvini per la segreteria. Per paradosso, il destino del leader potrebbe essere nelle loro mani. Salvini ci pensa da tempo, e non ha mai nascosto, nemmeno pubblicamente, che gli farebbe piacere se rispondessero alla chiamata alle urne, dando una mano.

Circa una settimana fa, durante una riunione ristretta, è stata avanzata un’idea che nella Lega circolava da un po’: candidarli, tutti e tre. L’ipotesi sarebbe di inserirli nel listino proporzionale, come capilista. Un modo per frenare l’emorragia di consenso e tenere legato un elettorato fedele e, per quanto riguarda veneti e friulani, soddisfatto del governo regionale.

Si tratterebbe di una candidatura di scopo. Perché, almeno al momento, è abbastanza prevedibile che, una volta eletti, sceglieranno di restare in Regione, rinunciando al seggio parlamentare per far posto a un altro candidato. Zaia è al secondo anno del terzo mandato, Fedriga invece si giocherà la riconferma in Friuli tra un anno. Diverso il discorso per Fontana.

La Lombardia è terreno di scontro nella coalizione, con gli alleati di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. Letizia Moratti aspettava una risposta. L’ex sindaca di Milano, chiamata in piena pandemia come assessore alla Salute a correggere le sbandate amministrative della Regione, vuole il Pirellone. Ed è gradita ai forzisti e a Giorgia Meloni.

Come altre volte, la trattativa è diventata spartizione. Sul tavolo ci sono anche la Sicilia, e il Lazio, visto che è probabile che il governatore Pd Nicola Zingaretti venga eletto in Parlamento. La tentazione di imporre un candidato leghista in Sicilia - il segretario Nino Minardo - ha retto fino all’altro ieri sera. Ma avrebbe sballato gli equilibri e rimesso in gioco la Lombardia, la regione più preziosa per la Lega.

Moratti ci crede ancora e spera che alla fine Fontana ceda al pressing e si faccia attrarre dall’idea di scendere a Roma, in Parlamento. O, perché no, al governo. In ballo, dopo il voto, se il centrodestra vincerà, ci sarà sicuramente il ministero degli Affari regionali, fondamentale per realizzare la tanto agognata autonomia.

L’avanzata di Meloni, che cresce anche in queste regioni tradizionalmente leghiste, e la scommessa di Carlo Calenda che punta ad attrarre voti in Veneto e Lombardia, sono segnali preoccupanti. Zaia e Fedriga hanno un gradimento personale alto e potrebbero essere vissuti come garanti verso un partito che non solo ha perso il vigore nazionalista, ma sta rischiando anche di smarrire alcune decisive e storiche battaglie di identità.

I governatori sono i testimonial più credibili per rilanciare la sfida dell’autonomia regionale che si è persa in questi ultimi anni, prima nel governo gialloverde del primo Giuseppe Conte e poi tra le troppe emergenze affrontate dall’esecutivo di unità nazionale di Mario Draghi. Tra i fedelissimi di Salvini non si fa mistero di quanto l’alleanza di governo condivisa con la presidente di Fratelli d’Italia possa rivelarsi problematica su questo punto. Sull’autonomia e sul federalismo fiscale c’è un passaggio chiaro nel programma comune di centrodestra, accoppiato alla piena attuazione di Roma capitale chiesta dai sovranisti.

Ma i leghisti non si fidano. La distanza con la fratellanza meloniana è tanta e se FdI dovesse imporsi con un risultato molto più ampio della Lega, per esempio con il doppio dei voti, non è escluso che alla fine quegli obiettivi cari alla Lega possano finire in qualche dimenticato cassetto ministeriale. Le candidature dei governatori serviranno anche a vincolarli alla campagna elettorale. Salvini percepisce le loro resistenze, ma vuole un impegno diretto. Perché servirà a condividere vittoria e sconfitta, e a lasciare il leader meno solo, con le sue responsabilità.

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