L’UNICA GUERRA CHE ORMAI SI CONOSCE IN ITALIA È QUELLA DELLE URNE
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COSA FARÀ IL PROSSIMO GOVERNO QUANDO DOVRÀ SCEGLIERE TRA LA PACE E I TERMOSIFONI? -
30.7.2022 dagospia.com lett3’
E (QUASI) TUTTI GLISSANO DAVANTI ALLA DOMANDA CHE PURE INTERESSA I CITTADINI: COSA FARÀ IL PROSSIMO GOVERNO QUANDO DOVRÀ SCEGLIERE TRA LA PACE E I TERMOSIFONI? - LA QUARTA FORNITURA DI ARMI ALL'UCRAINA È PASSATA SOTTO SILENZIO, SEBBENE PROPRIO LA POLEMICA DI CONTE SU QUESTO DECRETO ABBIA FATTO DA…”
Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"
La guerra continua a Kiev. La guerra è dimenticata a Roma.
Oggi l'unica campagna che (quasi) tutti i partiti italiani riconoscono, è quella elettorale. Mentre il conflitto in Ucraina è tenuto fuori dal dibattito.
Non per disinteresse ma per non provocare effetti negativi nell'opinione pubblica quando si andrà al voto. È vero, i leader parlano di Putin e dell'ingerenza russa nelle dinamiche politiche nazionali.
Ma (quasi) nessuno parla della guerra dal punto di vista militare o per le conseguenze economiche e sociali che produrrà nel Paese. E (quasi) tutti glissano davanti alla domanda che pure interessa i cittadini: cosa farà il prossimo governo quando - dinnanzi al perdurare delle operazioni - dovrà scegliere tra la pace e termosifoni?
La quarta fornitura di armi all'Ucraina è passata sotto silenzio, sebbene proprio la polemica di Conte su questo decreto abbia fatto da innesco alla crisi delle larghe intese.
Eppure il ministro della Difesa Guerini è andato pochi giorni fa al Copasir per riferire che «la guerra di attrito è destinata a durare», che «l'esito del conflitto dipenderà dall'aiuto che saprà fornire l'Occidente» a Kiev. E che pertanto «il governo si prepara a un'altra spedizione di materiale» per settembre, quando in Italia si staranno allestendo le urne. D'altronde la resistenza ucraina non può attendere lo spoglio delle schede.
Il «quinto decreto» è già vissuto come un problema dalle coalizioni, attraversate da forti contraddizioni interne. C'è un motivo se Letta - tra i tanti temi toccati durante la direzione del Pd - si è limitato solo a ricordare che «inoltre c'è un conflitto». Nonostante il 24 febbraio si sia schierato «senza se e senza ma» a fianco di Kiev - cambiando la linea del suo partito - il leader dem è preoccupato che l'eco della guerra possa avere un impatto sull'elettorato di sinistra e pacifista che va dalla comunità di Sant' Egidio fino a Leu. E siccome anche quei voti gli servono, omette l'argomento, lo sfuma, lo lascia appena sullo sfondo.
Mentre Guerini a ogni assemblea di partito rammenta come il conflitto sia «entrato nella politica italiana e continuerà a essere presente». Perché l'operazione verità serve, a sinistra come a destra.
Dove la Meloni - in vista della prima riunione per redigere il programma dell'alleanza - ha dato disposizione ai suoi legati che nel documento «su tre punti non si potrà derogare»: nessuna concessione a favole propagandistiche, linea di sostanziale continuità con il governo Draghi sulla politica energetica e pieno appoggio a Kiev. Per chi sta puntando a palazzo Chigi, questi capisaldi sono necessari all'avvio del dialogo (e dell'accreditamento) con i partner internazionali.
Ma un conto è il modo in cui mise subito a tacere i mal di pancia nel partito, quando prese posizione sulla guerra, altra cosa per la Meloni sarà gestire gli alleati. Da un lato c'è l'approccio «pacifista» di Salvini, la cui svolta non si sa se è avvenuta nelle tante cene con l'ambasciatore russo. Dall'altro ci sono i convincimenti economici del Cavaliere, secondo il quale la prosecuzione del conflitto provocherebbe «gravi problemi alle aziende italiane».
Berlusconi è così tetragono sull'argomento che tempo addietro, durante il rituale pranzo di Arcore, discusse animatamente di pace e condizionatori con la figlia Marina, convinta sostenitrice della linea atlantica. Se la guerra di Kiev è stata dimenticata, è perché a Roma è in atto la guerra dei seggi, che si concentrerà al Senato. Lì dove il Pd cercherà il pareggio per dichiarar vittoria. Perciò il Nazareno sta accumulando alleati. Perciò gli avversari - sicuri ormai dell'accordo tra Calenda e i dem - accusano Letta di aver «costruito non un cartello elettorale ma un carrello elettorale».
La missione del centrodestra sarà superare il 40% nel proporzionale e conquistare 50 collegi su 74 all'uninominale, così da arrivare a una maggioranza di 104 senatori. Oppure subirà lo smacco. L'Ucraina è distante per i partiti. Un po' come Draghi, che nei giorni in cui decise di lasciare, confidò: «Mi spiace farlo proprio ora che la guerra a Kiev sta per prendere una piega diversa». Nel Pd ci fu chi lo prese per matto. Ora gli ucraini stanno organizzando la controffensiva a Kerson. Ma siccome non è un collegio elettorale, interessa poco.