Nuovi Ulivi. Comunque finisca la telenovela delle alleanze una cosa è sicura: non finirà affatto
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Se ne parlerà fino alla presentazione delle liste, ma anche dopo l’ufficializzazione delle candidature, e persino dopo il voto, come sempre. Breve storia di un’insopprimibile vocazione autodistruttiva
Francesco Cundari 26.7.2022 linkiesta.it lett3’
Questi primissimi giorni di campagna elettorale ci hanno dato un assaggio di quello che ci aspetta, a sinistra, almeno fino al giorno della presentazione delle liste: un dibattito interamente occupato dall’appassionante questione delle alleanze. Chi va con chi, vengo anch’io, no tu no, ma perché? E via cantilenando.
Il bello è che lo stesso tema dominerà anche tutto il resto della campagna elettorale, una volta che le liste saranno state definite e presentate, con l’unica differenza che il dibattito avrà, da quel momento in poi, un carattere retrospettivo: chi è andato con chi, poteva venire anche lui, no lui no, ma perché? E via recriminando.
L’unico vantaggio è che tutto questo, a sinistra, servirà almeno da riscaldamento per il dibattito che verrà dopo le elezioni, cioè dopo la sconfitta (come nel 2001, nel 2008 e nel 2018), il non-pareggio (come nel 2006) o la non-vittoria (come nel 2013). Indipendentemente dall’estensione della coalizione, infatti, il centrosinistra ha vinto pienamente soltanto nel 1996, la prima volta in cui si presentò unito, e solo perché il centrodestra, invece, si presentò diviso (errore che si guarderà bene dal ripetere, di lì in poi).
Comunque finisca dunque l’insopportabile telenovela sul campo aperto (con Calenda e senza Di Maio? Con Speranza e senza Renzi? Con Conte ma senza Calenda?), una cosa è sicura: non finirà affatto. Non finirà mai. Perché non è mai finito. Nel 2013 parlavamo della cervellotica «alleanza a due cerchi» di Pier Luigi Bersani (ve l’eravate dimenticata?), nel 2022 parliamo della coalizione «a quattro punte» e persino di un’ipotesi di «alleanza tattica» con i cinquestelle (ancora migliore la definizione che ne dava ieri un retroscena di Tommaso Ciriaco su Repubblica: «Alleanza non politica»). Quale che sia l’accordo che alla fine si troverà, o non si troverà, potete star certi che continueremo a discuterne fino al giorno del voto, e anche dopo.
Se l’alleanza sarà larga e composita, discuteremo di quanto sono litigiosi, e figuriamoci come potranno governare insieme (del resto, neanche sono partiti e già hanno cominciato a bisticciare, sia su chi debba entrare o non entrare nella coalizione, sia su chi debba andare a Palazzo Chigi); se l’alleanza sarà invece stretta e omogenea, discuteremo di tutti quelli che saranno rimasti fuori. E di conseguenza, se fuori saranno rimasti quelli di sinistra, sarà la prova che il centrosinistra ha perso i valori e l’identità; se fuori saranno rimasti invece quelli di centro, sarà la prova che il centrosinistra non ha abbastanza cultura di governo, e sono sempre i soliti estremisti e demagoghi.
Andrà così anche questa volta, come sempre, ed è giusto che vada così, considerato che anche questa volta, come ogni volta, la prima trovata del nuovo segretario del Pd è stata rilanciare il maggioritario, illudendosi di potere polarizzare la campagna in uno scontro con Giorgia Meloni, come già provò a fare Walter Veltroni con Silvio Berlusconi nel 2008 (consegnando al centrodestra una maggioranza talmente schiacciante che nemmeno la scissione finiana bastò a intaccarla, e ci volle lo spread a 575 punti per indurre il presidente del Consiglio alle dimissioni).
Da trent’anni, illudendosi di avvantaggiarsene, i leader del centrosinistra si impiccano a una legge elettorale che di fatto impone le ammucchiate, per poi dividersi tra chi vuole suicidarsi da solo e chi preferisce suicidarsi in compagnia. Ma l’esito, dal 2001 a oggi, è sempre lo stesso: sconfitte epocali o non-vittorie talmente risicate da non reggere un minuto in Parlamento, costringendo poi a quella sfilza di governi di grande o grandissima coalizione che sono diventati il marchio di fabbrica del Pd. Marchio che andrebbe benissimo in un sistema proporzionale, intendiamoci, ma è ovviamente il bacio della morte alla vigilia di una campagna elettorale all’insegna del bipolarismo (o addirittura di un finto bipartitismo). Non per niente, ogni volta, i dirigenti del Pd devono cominciare a battersi il petto spergiurando che non lo faranno mai più.
Siccome però in questa legislatura, oltre a non avere varato una legge elettorale proporzionale, hanno anche appoggiato il taglio lineare dei parlamentari, è in effetti probabile che all’indomani del voto non ci sia alcun bisogno di grandi coalizioni, visto che il centrodestra potrebbe avere i numeri non solo per governare, ma pure per decidere da solo tutte le cariche istituzionali e di garanzia, nonché per riscrivere la Costituzione a suo piacimento.
E adesso, per evitare un simile pericolo, obiettivamente non piccolo, indovinate chi dovreste votare.