lL virus russo. La lezione del Covid è che gli incendi non si spengono un po’ alla volta, e vale anche per Putin
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Non stupisce che a invocare gradualismo sulle sanzioni sia proprio Matteo Salvini, che nel 2020 invitava a tenere tutto aperto e polemizzava persino sulle mascherine
Francesco Cundari 28,2,2022 linkiesta.it lett3’
Il dibattito intorno all’opportunità di ricorrere a sanzioni più o meno «proporzionate», «graduali» e «mirate» per fermare l’avanzata russa in Ucraina ricorda molto da vicino il dibattito sulle restrizioni necessarie a fermare l’avanzata del Covid. O almeno ce lo ricorderebbe, se da quell’esperienza avessimo imparato qualcosa.
Per giorni ci siamo sentiti dire che occorreva tenere da parte le sanzioni più dure come deterrente in caso di escalation, persino dopo che la Russia aveva dato il via a un’invasione su larga scala. Posizione difficilmente comprensibile in sé e per sé (quale sarebbe l’ulteriore escalation che dovremmo attendere, il lancio di missili nucleari contro le capitali europee?), ma anche il segno che dall’esperienza della pandemia abbiamo imparato poco. Fortunatamente le decisioni annunciate ieri dalla Commissione europea sembrano andare in direzione opposta.
Proprio la pandemia dovrebbe infatti averci insegnato che, dinanzi a una minaccia dagli effetti potenzialmente catastrofici, un approccio eccessivamente «gradualista» è il meno razionale, per la semplice ragione che la «gradualità» delle nostre contromisure ha una progressione per dir così lineare, mentre gli effetti che quelle contromisure dovrebbero contenere hanno una crescita esponenziale. Se le tende della cucina prendono fuoco, nessun individuo sano di mente pensa di conservare l’acqua nel caso in cui l’incendio si allargasse: tutti capiscono che bisogna buttare sul fuoco quanta più acqua possibile e che bisogna farlo subito, proprio per evitare che l’incendio si allarghi. Le sanzioni al momento sono tutta o quasi tutta l’acqua di cui disponiamo: buttarle sul fuoco una goccia alla volta forse non è il modo più razionale di usarle. E nemmeno il più economico.
Non stupisce che a trascinare i piedi e a invocare gradualismo sia Matteo Salvini, che ieri non ha esitato a rompere il fronte della fermezza anche sull’invio di armi agli ucraini. Non per niente si tratta dello stesso Salvini che nel 2020 invitava a tenere tutto aperto e polemizzava persino sulle mascherine. Anche i suoi argomenti sono gli stessi di allora, a cominciare da un’infondata contrapposizione tra le ragioni dell’economia e quelle della politica.
A ben vedere, infatti, non c’è alcuna contrapposizione. Ce lo dice l’esperienza. Quegli stessi industriali lombardi che all’inizio del 2020 chiedevano di tenere tutto aperto, se potessero tornare indietro nel tempo, sarebbero certo i primi a gridare di fare l’esatto contrario, e non solo per evitare le tremende tragedie che sono venute dopo; ma anche perché consapevoli, con il senno del poi, di quanto un intervento più drastico e tempestivo sarebbe stato pure il più vantaggioso dal punto di vista economico.
Solo che stavolta l’alternativa a un intervento deciso e certamente costoso come quello contro la Russia di cui si sta discutendo non sarebbe un lockdown, ma il rischio più che concreto di una nuova guerra mondiale.