VISCO AVVISA IL SINDACATO "NON SI BATTE L'INFLAZIONE AUMENTANDO GLI STIPENDI"

Bankitalia appoggia Draghi e Confindustria "Solo la crescita attenua il fardello del debito" Bisogna evitare la rincorsa tra salari e prezzi come avvenne negli anni '70. La politica monetaria, ha sottolineato il numero uno di Palazzo Koch, «non esiterà a contrastare con decisione simili sviluppi».

DI GIOVANNI PIGLIALARMI E LUCIA VALENTE IL 22/02/2022 IN MONETA E INFLAZIONE

Bisogna evitare la rincorsa tra salari e prezzi come avvenne negli anni '70. Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nel corso dell'intervento al congresso Assiom Forex a Parma, ha ribadito di ritenere «essenziale la consapevolezza da parte di tutti - forze politiche, parti sociali, opinione pubblica - del delicato equilibrio che dobbiamo preservare». La politica monetaria, ha sottolineato il numero uno di Palazzo Koch, «non esiterà a contrastare con decisione simili sviluppi».

Visco ha ricordato le tensioni inflattive scatenate nel 1973 dalla guerra dello Yom Kippur. «Il prezzo del petrolio quadruplicò, con conseguenze che finirono per andare ben oltre la sfera energetica», ha detto. «Essendo un onere esterno era, allora come è oggi, impossibile non patire quella tassa, un onere che si deve sopportare comunque, per via pubblica o privata che sia», ha aggiunto precisando che «sarà fondamentale evitare che questa dinamica sfoci in una futile rincorsa tra salari e prezzi, che fu allora aggravata dal particolare meccanismo di indicizzazione della scala mobile e dalla debolezza del cambio, con il risultato finale di un marcato e persistente incremento dell'inflazione». Insomma, il governatore si è discretamente schierato a fianco del presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, che ieri in un'intervista al Corriere ha rimarcato che «se si vogliono innalzare i salari subito, la strada sono contratti di produttività in ogni impresa, addizionali al contratto nazionale». Analoghe valutazioni sono state effettuate indirettamente sulla riforma delle pensioni. «Nel più lungo periodo tassi di sviluppo sostenuti potranno concretizzarsi solo con un deciso aumento dei livelli di partecipazione e occupazione e con una forte accelerazione della produttività rispetto alla dinamica deludente dell'ultimo quarto di secolo», ha evidenziato sottolineando che bisogna coinvolgere coloro «che non lavorano», cioè giovani, donne e anziani «perché anche a settant'anni si può lavorare».

Se queste parole rappresentano un ottimo viatico per il confronto tra Mario Draghi e i sindacati, atteso alla fine della prossima settimana, la frattura con i rappresentanti dei lavoratori è destinata ad allargarsi. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ieri ha replicato a Bonomi, ma proprio perché l'inquilino di Palazzo Chigi intendesse. «Non siamo contro la contrattazione aziendale, ma se non sono i contratti nazionali che tornano ad avere un'autorità salariale e a porsi il problema di aumentare il valore reale dei salari questo vuol dire accettare la riduzione dei salari», ha commentato.

Insomma, il rischio che si riapra una stagione di forti conflittualità è elevato. Sarebbe esiziale per l'economia italiana. «Dalla primavera con il progressivo miglioramento del quadro sanitario dovrebbe riacquistare vigore dopo la frenata degli ultimi mesi dovuta ai contagi», ha rimarcato Visco secondo cui la crescita del Pil «si avvicinerebbe nella media di quest'anno al 4%». La ripresa è stata decisiva per interrompere l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto, «che alla fine del 2021 potrebbe essere sceso su valori prossimi al 150% (dal 155,8% del 2020), un livello nettamente inferiore alle valutazioni ufficiali». Ecco perché non bisogna abbassare la guardia sul rigore dei conti pubblici perché l'Italia ha 400 miliardi di euro di Bot e Btp da collocare, tuttavia «limitati interventi di natura emergenziale possono ancora trovare giustificazione» per fronteggiare la crisi energetica o nei settori colpiti da restrizioni come ristorazione e turismo. Sottolineature che gli sono valse il plauso di Confcommercio.

2--LA CONTRATTAZIONE SI MUOVE, MA LE INTENZIONI SINDACALI SANNO DI VECCHIO

Il governo minaccia un intervento legislativo sul salario minimo e le corporazioni ora si muovono per precederlo e autoregolamentarsi

Roma. La minaccia ventilata nei mesi scorsi dal governo Renzi di dare seguito, con un’iniziativa legislativa, all’introduzione di un salario minimo per legge, ha scosso le flemmatiche associazioni sindacali e datoriali costringendole ad avanzare proposte di autoriforma degli assetti della contrattazione collettiva che stanno avendo pubblicità sulla stampa nelle ultime settimane. La prospettiva di lasciare al governo la facoltà di fissare un livello minimo di retribuzione per coloro che non sono coperti dalla contrattazione nazionale, che tutela l’85 per cento dei lavoratori in Italia, spingerebbe infatti le aziende a scostarsi dal contratto nazionale, che è la ragion d’essere delle sigle sindacali e datoriali confederali. In altre parole: la legge imporrebbe un salario minimo, lasciando poi alle parti sociali la libertà di contrattare verso l’alto – anche direttamente in azienda – gli stipendi in base a redditività e produttività del gruppo. Significherebbe, in pratica, dare il nulla osta a tutte le aziende che lo ritengono opportuno di ricalcare il modello della Fiat di Sergio Marchionne, ovvero sganciarsi da Confindustria e dai veti delle centrali sindacali. Un grimaldello che ha effettivamente generato un moto di rinnovamento contrattuale tra le associazioni datoriali, come Federmeccanica, visto che alcuni contratti collettivi nazionali in scadenza devono essere rinnovati.

ï·’       Dopo divergenze di lunga durata, le sigle confederali dei lavoratori Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato la presentazione di una proposta unitaria di autoriforma del contratto nazionale il 14 gennaio a Roma. Il documento di 16-18 pagine è stato anticipato dall’Unità e approfondito ieri dal Corriere della Sera. La proposta non prevede una revisione radicale del modello contrattuale e mantiene intatta la centralità del contratto nazionale concedendo deroghe in sede di contrattazione aziendale soltanto sulla flessibilità dell’orario di lavoro; cosa che nella prassi accade da anni e che è già stata formalmente autorizzata dall’accordo interconfederale del 2011. La novità, sottolineata dalla stampa, è l’abbandono dell’inflazione al netto della componente energetica (Ipca, indice dei prezzi al consumo) come parametro per l’adeguamento dei minimi salariali al costo della vita. L’inflazione a zero o negativa ha infatti motivato il rimborso agli imprenditori degli aumenti ricevuti in passato, in particolare nel settore chimico. L’ormai sconveniente parametro Ipca verrebbe sostituito con un indice “macroeconomico” per ora non specificato. Potrebbe essere il pil o altro, ma di certo non la produttività aziendale. Così però non si innova nulla, dice al Foglio Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd: “In tema di contrattazione aziendale non si innova di una virgola rispetto a quanto previsto dall’accordo interconfederale del giugno 2011: quell’accordo già prevede la derogabilità del contratto nazionale da parte di quello aziendale su tutto quanto non riguardi i minimi retributivi. Ma il nocciolo della questione riguarda proprio quest’ultima materia; e su questa la sola novità sarebbe la sostituzione, come riferimento per la determinazione dei minimi al livello nazionale, dell’indice di inflazione programmata con l’aumento del pil. Resterebbe intatta la determinazione dei minimi in termini di salario nominale, e continuerebbero a essere ignorate le rilevanti differenze di potere d’acquisto tra nord e sud del paese”. di Alberto Brambilla | 07 Gennaio 2016 ore 10:52 Foglio da archivio simofn

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