Un milione e mezzo di persone in meno davanti alla tv. Ecco perché calano gli ascolti
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Stefano Balassone e Francesco Siliato spiegano cosa sta succedendo alla televisione italiana. "Invece di inseguire chi se ne va, Rai e Mediaset guardino al futuro"
Adele Sarno 17.10.2021 huffpost.it lettura4’
2019 Vs 2021. Cosa è cambiato per la televisione italiana? L’audience, ovvero 1 milione e 500mila persone in meno che guardano la tv in prima serata, 8 milioni nel giorno medio. E i debutti della stagione ne sono la prova: talk show, intrattenimento, talent e serie tv, nessuno si è salvato. Certo qualcuno ha retto, vedi alle voci Report, Chi l’ha visto, Presa Diretta. Stefano Balassone, manager media, insegna comunicazione ed è un esperto di Rai, qui ha lavorato alla Terza Rete tra gli anni ’80 e ’90, ed è stato nel CdA per quattro anni, tra il 1998 e il 2002. Ci ha aiutato a capire cosa giustifica questo calo. Abbiamo guardato insieme la fotografia scattata dall’Osservatorio dello studio Frasi, che ha elaborato i dati dati Auditel relativi al mese di settembre 2021 e li ha confrontati con lo stesso periodo del 2019. Ebbene, ci dice: “Il fenomeno interessante non è il su e giù dello share ma la diminuzione dell’audience complessiva. Parliamo di un calo dello share del 10-15%, ovvero di quasi un milione e mezzo di persone in meno. È evidente che si tratta di una conseguenza indiretta della fine della pandemia: la gente esce di più”.
Un fenomeno, quello dell’allontanamento dal piccolo schermo che riguarda gli spettatori di ogni classe di età, tranne gli anziani. E che interessa tutti i ceti, tranne i più ricchi e chi ha un titolo di studio elevato. “Chi ha necessità di informarsi continua a godere di un’offerta diversificata: fruiscono dell’informazione dei talk show politici, creano il proprio palinsesto come meglio desiderano”. La pandemia è stata come uno tsunami, e adesso che l’onda è tornata indietro possiamo vedere cosa ha lasciato. “Si sono spiaggiati i laureati”, commenta con Huffpost Francesco Siliato, media analyst dello Studio Frasi. “Andando a vedere nel dettaglio i numeri di settembre 2019 Vs settembre 2021 stupisce che non solo si guarda meno tv ma che c’è una tendenza di cambiamento anche nel pubblico, soprattutto quello della Rai. La guarda chi ha un titolo di studio alto e un reddito alto”. La pandemia ha separato i pubblici anche per le proprie attitudini culturali. E così succede che lo spettatore è meno generalista mentre la tv no. “Il popolo della tv è più femminile, più anziano e più povero della media del popolo italiano, ed è sempre stato così”, spiega Siliato. “Oggi è ancora così se si guardano i numeri assoluti, ma se andiamo a vedere nel dettaglio è come se si pareggiasse. Perché ad aumentare sono gli uomini, i laureati e quelli con il reddito più alto”. E a beneficiarne sono i programmi di approfondimento.
“I grandi fenomeni di ascolto sono fortemente inerziali e sociologici. Hanno a che fare con l’aria che tira”, commenta Stefano Balassone. “Quando nel 2020 avevamo bisogno di informarci sul Covid perché chiusi in casa, nel pieno di una pandemia, lo abbiamo fatto. Ma oggi con l′80% dei vaccinati è difficile mantenere alto il livello degli ascolti, parlando di Covid e di vaccini”. In altre parole, non stiamo più a casa e non ne possiamo più di sentire parlare sempre della stessa cosa. Viene da chiedersi se questa diminuzione del pubblico non sia anche conseguenza del cosiddetto effetto sostituzione della vecchia tv con le nuove piattaforme di streaming. “Non si tratta di frammentazione del pubblico - spiega Siliato - perché chi sta a casa continua ad accendere la ‘vecchia’ tv e non sembrerebbe virare su Netflix&co. I numeri dei canali che trasmettono in streaming e che sono fuori dall’Auditel, per quanto segreti o non diffusi, non riuscirebbero a coprire il milione e mezzo delle persone che mancano all’audience. Basti pensare che la seria A su Tim per loro stessa ammissione ha fatto 500mila abbonati. Le “altre”, ovvero tutto quello che è non è misurato da auditel, si incrementa soprattutto quando ci sono le coppe e il calcio, ma l’incremento non va oltre i 200mila spettatori”.
Ci sarebbe da chiedersi se gli ascolti calano anche per un problema di qualità. “Credo che quello del calo delle audience sia un falso problema”, dice Stefano Balassone. “Non credo che bisogna cercare una soluzione a tutto questo. Piuttosto sia la Rai sia Mediaset dovrebbero fare i conti con il proprio modello di Business. Mediaset che non ha mai avuto una vocazione produttiva, e ha la sua forza proprio nel fatto di non essere ambiziosa a livello di contenuti, deve capire come continuare a crescere con un modello tutto basato sulla pubblicità”. E la Rai? “Non funziona”, continua Balassone. “Può avere un avvenire solo riqualificando la propria struttura aziendale. La Rai non sfugge a dover affrontare i suoi problemi. Basti pensare a Rai Play. L’arretratezza tecnologica è l’inevitabile risultato della somma tra la Rai che è rimasta ferma e il mondo che è cambiato. E questo è un problema che non si risolve tecnologicamente, ma con scelte strategiche anche di carattere politico”. Insomma con il pubblico che cambia, non serve inseguire chi se ne va. Bisogna reinventarsi dal punto di vista strutturale guardando soprattutto a come approcciarsi al futuro.