L’eurasiatismo impugnato da Salvini non ci salverà, anzi

Breve analisi dell'ideologia putiniana che tanto piace al leader leghista. Dalle sue radici storiche al ruolo di Dugin.

Mario Margiocco 04 Agosto 2019 14.00 www.lettera43

In Italia la storia degli incontri al Metropol moscovita tra esponenti dell’ala business della Lega ed esponenti russi degli ambienti del potere putiniano è stata recepita, per chi ricorda le vecchie storie dei finanziamenti sovietici al Pci, come un episodio della stessa categoria. Cosa vera solo in parte. Allora c’erano un’ideologia costituita e chiara e il concetto dei “partiti fratelli” da onorare e gli interessi sovietici da lubrificare. Oggi c’è una teoria diversa, in via di definizione e non ancora completa, che pone sempre la Russia al centro e pone sempre in primo piano il tentativo di legare gli Stati europei, a partire dalla Germania, a questa concezione, cioè a Mosca. E per questo il filone neo-nazionalista o meglio “euroasiatista” moscovita, che il presidente Vladimir Putin utilizza, combatte la Ue, la vuole scomparsa, e dice che si sta dissolvendo, è finita, o finirà presto, perché non c’è un “popolo” europeo, e la Ue incatena i popoli.

Ma non è più l’ideologia, allora marx-leninista e stalinian-brezhneviana a giustificare il tutto, bensì la geografia; o meglio la geopolitica. Che ha sempre avuto un grosso ruolo anche in epoca sovietica, ma ora è assurta a ruolo dominante e palese: perché mai Berlino deve essere una roccaforte del “pensiero unico liberale” di matrice oggi americana, un pensiero decadente e in agonia dicono, mentre Washington e New York sono a 6.400 chilometri e Mosca è assai più vicina a 1.800 chilometri? Mosca e Berlino fanno parte dello stesso blocco geopolitico “di terra”, come Parigi del resto, l’altra capitale che gli euroasiatisti russi tengono in grande attenzione, mentre il decadente e decaduto, finito, mondo liberale è un mondo “di mare” che va dal Tamigi allo Hudson. L’Italia, come spesso, viene dopo, e conta oggi solo perché c’è un partito sovranista al potere.

UNA UNIONE DA SFASCIARE

Sono concetti, questi di “terra” e “mare”, adottati dallo Stato Maggiore prussiano in epoca bismarckiana, ripresi da alcuni teorici nazisti e frutto di una visione vecchia di oltre un secolo che alcuni intellettuali russi, e in particolare ora il più abile ed eclettico, Aleksandr Gel’evič Dugin, 57 anni, assai vicino al potere moscovita, stanno sistemando, completando, europeizzando si direbbe, per farne lo strumento ideologico di una nuova Russia imperiale. Questo dopo i 20 anni di sconcerto e tentativi disordinati seguito alla débâcle nel 1989-1991 del sistema sovietico rimasta, nella memoria collettiva della maggior parte dei russi, una tragedia nazionale, nonostante tutto, perché non c’è più un impero, finito nell’umiliazione. E poiché a Sud Est c’è ormai una Cina che è più ricca e ben più industrializzata della Russia, è la decadente Unione europea liberale il punto da cui partire. Contribuire a sfasciare la Ue sarebbe la prima grande vittoria della rinata Russia putiniana.

L’ENFASI SUL “POPOLO” COME PRINCIPIO SUPREMO

È con questo schema che si è alleato Matteo Salvini, da tempo in contatto personale con Dugin, anche se, è chiaro, a Salvini non interessa più di tanto la ricostruzione dell’Impero russo. Al leader neoleghista interessano piuttosto l’enfasi eurasiatista sul “popolo” come principio supremo e la fine di una Ue, dichiarava poco meno di tre anni fa Salvini in una conversazione con Dugin, che «si sta già smontando, in quanto è una costruzione artificiale, è una gabbia, è l’antitesi della democrazia, del lavoro, è una moneta evidentemente sbagliata…». Marine Le Pen lo aveva preceduto e poi ispirato, nei suoi contatti moscoviti, quando il vecchio nazionalismo francese in versione Front National cercava verso il 2010 alleati nel “nuovo” nazionalismo russo.

Dugin è un grande elaboratore di formule e si è dato un compito in parte riuscito di sprovincializzazione del bagaglio ideologico dell’antico nazionalismo e imperialismo russo, e soprattutto della sua versione euroasiatista, venuta a maturazione ai primi del 900 quando la sconfitta a mano dei giapponesi nel 1905 e poi il decennio di confusione, crollo economico e sconvolgimenti seguito al 1917 bolscevico portarono vari intellettuali, per lo più in esilio, a lavorare sul concetto di euroasiatismo come base di una futura centralità russa nel mondo, nonostante tutto. Partivano dalla grande corrente slavofila dell’800 che considerava l’Europa, e il suo tentativo di inglobare la Russia, un attentato all’identità nazionale. L’opposto del pensiero filo-occidentale russo, molto forte a San Pietroburgo, ma non altrove.

Gli euroasiatisti speravano in un’evoluzione nazionalista, pan-russa e non più atea del comunismo bolscevico, capace di valorizzare i sentimenti nazionali legati alla chiesa ortodossa. E trovarono qualche soddisfazione nel ruolo imperiale che Mosca si conquistò con la Seconda guerra mondiale. Ma si ridussero con gli anni a ben poca cosa. L’etnologo Lev Gumilev, scomparso nel 1992, rilanciò 50 anni fa un neo-euroasiatismo accreditando la teoria che i due secoli e mezzo di dominio mongolo, fino al 1480, avevano forgiato l’anima russa salvandola dall’omologazione con l’Occidente cattolico e contribuendo fortemente alla sua identità. Questo lo rese e rende anche oggi popolarissimo nelle repubbliche asiatiche dell’ex impero russo. Dugin è da 30 anni attivissimo con libri, articoli, radio, tv insegnamento accademico, una sorta di “one man think tank” come è stato definito. Ha stabilito contatti solidi a partire da 20 anni con molti nomi del sovranismo europeo, in genere molto di destra o chiaramente nazional-neofascisti.

 

La Russia è l’incarnazione della ricerca di una alternativa storica all’Atlantismo. E in questo sta la sua missione globale

Due sono i testi fondamentali, tradotti anche in italiano. Il primo, pubblicato nel 1997, resta al centro del pensiero di Dugin, ha come titolo italiano Fondamenti di geopolitica ed è un trattato che insiste sulla centralità euroasiatica della Russia cuore del grande impero “di terra”, dallo Stretto di Bering al Mar del Giappone al Mediterraneo, o quasi. Rimane un testo molto diffuso anche nelle università russe, e soprattutto nelle scuole militari e dei servizi di sicurezza. Rilanciava, dopo l’eclissi del fallimento dell’Urss, l’idea di una Russia che può opporsi al “pensiero unico neoliberale” incarnato dagli Stati Uniti. Era un invito pressante a pensare ancora in grande, a ribellarsi al complotto anti-russo. Il secondo testo, più recente, è un manifesto d’azione, La quarta teoria politica (Nuova Europa Edizioni). Non destra fascista, non sinistra comunista, tantomeno centro liberale che è il nemico oggi da battere, ma una quarta dimensione, alla quale Cina e Iran oggi secondo Dugin sono incamminati. La Quarta Politica supererà i gravi disastri del pensiero unico liberale e in nome dei popoli, delle loro identità e tradizioni che il liberalismo cancella, potrà creare un futuro migliore del quale la Russia potrebbe essere il garante, proprio per la sua possibilità di essere insieme occidente e oriente e nessuno dei due ma semplicemente Eurasia.

MOSCA COME PERNO DEGLI EQUILIBRI EUROPEI

Marlène Laruelle, politologa francese che insegna a Washington, Dc, e che è stata fra i primi a occuparsi 15 anni fa del pensiero neo-euroasiatico e di Dugin in particolare, insiste sulla sua visione di una Russia che diventa il perno degli equilibri europei e attira Germania e Francia e altri e le loro preziose tecnologie nella sua orbita geopolitica, cioè militare in definitiva. «La Russia è l’incarnazione», ha detto Dugin e ricorda Laruelle, «della ricerca di una alternativa storica all’Atlantismo. E in questo sta la sua missione globale». Una alternativa, appunto, non ancora ben definita, e di cui si conosce bene per ora solo la sede, Mosca. In quanto alle idee, la vera arma di Dugin, spicca il filosofo tedesco Martin Heidegger, stimatissimo dal geopolitologo russo. Con il suo para esistenzialista Dasein, l’esserci, l’esistere in un luogo e tempo, Heidegger offre lo strumento intellettuale di rivolta al pensiero unico liberale, offre – dice Dugin – «una forma esistenziale di comprendere il popolo, che si oppone alle teorie dei liberali, con la loro idea vuota e insignificante di individuo», così come formule vuote sono oggi comunismo e nazionalismo fascista e nazista.

L’AVVERSIONE VERSO L’INDIVIDUALISMO OCCIDENTALE

Colpisce l’avversione totale verso l’individualismo occidentale, che ha difetti grossi, l’egoismo sociale fra questi, anche se poi sono i Paesi liberali ad avere i più generosi sistemi di stato sociale, almeno in Europa, ma anche pregi. Fra questi spicca la tutela dei diritti individuali, che come noto sempre hanno avuto in Russia (e in molti altri Paesi ai quali Dugin guarda con ammirazione) ben poco spazio, per non dire nulla. Quali masse, a parte 90 anni fa gruppi di entusiasti bolscevichi occidentali e anche italiani finiti poi spesso nei gulag, hanno mai voluto andare a vivere in Russia? Sarebbe questo il faro di una nuova civiltà? A questo attaccapanni ideologico Salvini ha appeso in qualche modo, si direbbe, il suo cappello.

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