Salvini chiede un censimento che non si può fare. Ma quanti sono i rom in Italia?
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Il ministro dell'Interno vorrebbe espellere quelli non italiani, che non sono più di 3mila. Il precedente del 2008 di Maroni e le norme italiane ed europee
di Enrico Cicchetti 19 Giugno 2018 alle 10:18 www.ilfoglio.it
Dopo i migranti e le ong, ecco i rom, un altro tamburo al quale l'elettorato leghista è estremamente sensibile. E sul quale Salvini ieri ha deciso di battere, in questa sorta di campagna elettorale permanente nella quale siamo immersi ormai da più di cento giorni. “Faremo un censimento sui rom in Italia, una ricognizione per vedere chi, come e quanti sono”, annuncia lunedì il ministro dell'Interno. E sottolinea che “dopo Maroni non si è fatto più nulla, ed è il caos. Facciamo un'anagrafe, una fotografia della situazione. Gli irregolari saranno espulsi mentre i rom italiani, purtroppo, te li devi tenere a casa”. Le sue frasi vengono interpretate come l'intenzione di fare un censimento su base etnica e suscitano forti polemiche, anche tra gli alleati di governo grillini. Il premier Conte, poco prima di salire sull’aereo che lo porterà a Berlino, d’accordo con Luigi Di Maio, fa arrivare a Salvini questo messaggio: “Così non reggiamo, devi rettificare”. E il leader del Carroccio fa marcia indietro: “Non vogliamo schedare i rom ma tutelare i bambini”, dice. “Mi fa piacere che Salvini abbia smentito, se una cosa non è costituzionale non la si può fare” ribatte in serata Di Maio.
Oltre ai politici alleati e di opposizione, contro l'annuncio del ministro hanno risposto anche la comunità ebraica e le associazioni: “Salvini dovrebbe studiare. Quello che fu definito un censimento, organizzato dal ministro Maroni tra il 2009 e il 2011, fu in realtà una schedatura su base etnica, che in Italia è vietata. Per tale ragione ci fu una strigliata da parte dell'Europa”, sottolinea sul suo blog nel Fatto Carlo Stasolla, presidente dell'associazione 21 luglio e “il ministero dell’Interno si vide costretto a sborsare migliaia di euro di risarcimento”. Mentre l'associazione Nazione Rom (Anr) ricorda come sia già presente un dossier (scaricalo qui) elaborato nel 2017 dall'Istat con l'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. L'associazione spiega che l'indagine pilota su quattro comuni italiani – Napoli, Bari, Lamezia Terme e Catania – è stata “prontamente consegnata al ministro Salvini e sulla email del Gabinetto del ministro dell'Interno”. Peraltro l'Italia ha ricevuto dalla Commissione europea “ingenti finanziamenti per il periodo 2014-2020 al fine di garantire una casa, un lavoro, una scuola e una protezione sanitaria per rom, sinti e caminanti, e per la popolazione in estrema povertà come i senza fissa dimora”, ricorda l'associazione, che si è recata la scorsa settimana a Bruxelles “per ottenere l'apertura di inchiesta da parte della Commissione europea relativamente all'utilizzo improprio di questi fondi. Adesso è necessario rispettare accordi e strategia, pena la sospensione dei finanziamenti europei erogati per un totale di 7 miliardi di euro”. Per questo Anr chiede “un incontro urgente con il ministro Salvini che veda il coinvolgimento di Unar punto di contatto nazionale per implementare gli accordi Ue di Inclusione e la strategia nazionale Rsc”.
Si può fare un censimento dei rom?
Un censimento della popolazione rom in Italia fu tentato con il citato decreto del maggio 2008, dall'allora ministro dell'Interno Maroni: si parlò di identificazione, fotosegnalazione e rilievo delle impronte digitali ma l'iniziativa fu criticata da Ue e Onu. Il Tar del Lazio nel 2009 aveva ritenuto parzialmente illegittimo il decreto. “L'autorità di pubblica sicurezza”, recita l'art 4 del T.U.L.P.S. n. 773/1931, “può disporre rilievi segnaletici solo nei confronti di persone pericolose o sospette o nei confronti di coloro che non siano in grado o si rifiutino di provare la loro identità”. Il parere del Tar fu ribaltato in parte dal Consiglio di stato che ritenne insussistente una “emergenza nomadi” in Italia, presupposto su cui si basava l'intervento di Maroni. Il Parlamento europeo nel 2009 ha censurato le identificazioni su base etnica in tutti gli stati membri.
Cosa dicono i dati esistenti
Sono tra 120 e 180 mila i cittadini di origine rom e sinti in Italia, 26 mila dei quali vivono in emergenza abitativa in baraccopoli formali (insediamenti gestiti dalle amministrazioni locali) e informali (campi abusivi) o nei centri di raccolta monoetnici, secondo i dati dell'ultimo Rapporto dell'Associazione 21 luglio (scarica il rapporto 2017 qui). Le baraccopoli formali sono 148, distribuite in 87 comuni di 16 regioni da nord a sud, per un totale di circa 16.400 abitanti, mentre 9.600 è il numero di presenze stimato all'interno di insediamenti informali. Dei rom e sinti residenti nelle baraccopoli formali si stima che il 43 per cento abbia la cittadinanza italiana mentre sono 9.600 i rom originari dell'ex Jugoslavia di cui circa il 30 per cento – non più di 3 mila – è apolide. “Ma proprio perché apolidi sono inespellibili. E questo un ministro dovrebbe saperlo”, ha scritto Carlo Stasolla. Nelle baraccopoli informali e nei micro insediamenti vivono nell'86 per cento dei casi cittadini di origine romena. Il 55 per cento dei minori che vive in queste baraccopoli, sempre secondo le stime dell'associazione, subisce “gravi ripercussioni sulla salute psico-fisica e sul loro percorso educativo e scolastico”.
Cittalia, in collaborazione con Anci e Unar, ha svolto una ricerca (scarica qui) sui campi rom che rappresenta il primo tentativo di mappatura a livello nazionale, effettuato coinvolgendo direttamente le amministrazioni comunali con l’obiettivo di rilevare numero e condizioni degli insediamenti, autorizzati e spontanei, presenti sul territorio dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Secondo i dati raccolti, a fronte dei 197 insediamenti dichiarati nelle città metropolitane, 119 pari al 61,3 per cento sono classificati come insediamento spontaneo non riconosciuto, 49 (25,3 per cento) come campo attrezzato e 26 (13,4 per cento) come insediamento spontaneo riconosciuto. “A livello regionale, i comuni di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Toscana coprono il 62,6% delle realtà che dichiarano la presenza di RSC all’interno dei propri ambiti comunali ed in particolare le provincie di Milano, Torino, Monza detengono il numero più alto di comuni che ne hanno affermato la presenza”, spiega il rapporto.
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