Governo. Il voto ha espresso tre minoranze
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E non ha quindi indicato un tracciato sicuro da percorrere per dare un governo al paese. Impeccabile (sinora) l'approccio felpato di Mattarella
di Domenico Cacopardo ,19.4.2018 www.italiaoggi.it
È il «Fattore T» (T come Tempo) l'elemento decisivo di questa transizione tra il noto e stranoto della 17esima legislatura (Enrico Letta, Renzi, Gentiloni) e l'ignoto di una 18esima. La tempestività è dote rara tra i politici, incapaci di attendere che le situazioni maturino e che si determinino le condizioni per ottenere ciò che si aspettano. Sergio Mattarella, con la sapienza di decenni di militanza democristiana, invece conosce bene i tempi delle istituzioni e dei partiti, tanto da averla usata con naturalezza in questa difficile contingenza, nella quale il risultato delle elezioni, consegnandoci, in sostanza, solo tre minoranze, non ha indicato un tracciato sicuro da percorrere per dare un governo al paese.
In verità, qualcosa di specifico era emerso dal 4 marzo: due partiti, il Movimento 5stelle e la Lega, avevano certamente riscosso un importante successo in percentuali e seggi, mentre le altre forze politiche (a parte Fratelli d'Italia, i cui numeri, però, sono ridotti) avevano perso, e in misura rilevante, consensi. L'approccio felpato di Mattarella (che doveva attendere sì l'elezione dei presidenti di camera e senato, la costituzione degli uffici di presidenza e l'elezione delle cariche parlamentari dei partiti, ma che, dopo, s'è preso un tempo abbondante di riflessione e consultazione) ha prodotto alcuni risultati visibili e vistosi.
Il primo riguarda l'infantilismo politico (che rasenta l'idiozia) del cosiddetto capo dei 5stelle, il delegato di Grillo&Casaleggio, Luigi Di Maio. Certo, uno steward da stadio non s'improvvisa leader politico. Un diversamente-conoscente la storia politica del paese non può conoscere l'abc dei comportamenti istituzionali. Né l'inesorabile legge dell'opportunità e del compromesso. Così, mentre dopo il 4 marzo aveva tutte le carte in mano, oggi gliene restano ben poche. All'evidenza, ha perso la possibilità di diventare premier, perché comunque vadano le cose, gli sarà impossibile pretendere il consenso necessario per entrare a palazzo Chigi (trasformato in un Palazzo d'Inverno italiano). Ben conoscendo come vanno le cose, Matteo Salvini ha subito sgombrato il campo dichiarando di non porre il problema della propria premiership.
Infatti, per ottenere ciò che ritiene proprio sulla base di 11 milioni di voti (andati al partito e non a lui: ma anche se fossero andati al «capo» non ne imponevano l'investitura) Luigi Di Maio avrebbe dovuto fare (e dovrebbe fare) tali e tante concessioni ai partner o al partner di una ipotetica coalizione da determinare la rivolta del suo popolo.
Non basta la cialtroneria (quella che ha indotto il partito dei grillini a rimuovere dal web il programma elettorale per sostituirlo con una congerie di proposizioni insipide e inconsistenti), né la furbizia (quella che gli ha fatto riproporre i «due forni» che lo mettono nelle mani di Salvini o del Pd), né il finto moralismo che gli ha suggerito di porre il veto su Berlusconi (l'unico che, in definitiva, potrebbe avere interesse a sostenere alle proprie condizioni una coalizione con i 5stelle) per governare una nazione complessa come la nostra.
Ieri, la realtà, dopo le sciocchezze viste nelle settimane successive al 4 marzo, ha presentato il proprio conto: «il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al palazzo del Quirinale la presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e le ha affidato il compito di verificare l'esistenza di una maggioranza parlamentare tra i partiti della coalizione di centrodestra e il Movimento 5stelle e di un'indicazione condivisa per il conferimento dell'incarico di presidente del Consiglio per costituire il governo. Il presidente della Repubblica ha chiesto alla presidente del senato di riferire entro la giornata di venerdì».
Accettando con senso di responsabilità l'incarico, la senatrice Casellati deve procedere a consultazioni limitate dal perimetro indicato da Mattarella e cioè con due soli soggetti politici: la coalizione di centrodestra (comprendente Berlusconi e Forza Italia) e i 5stelle. 48 ore di tempo per riferire. Se ci aspettavamo un'accelerazione, questa l'ha impressa il presidente della Repubblica: nei termini in cui l'esplorazione è stata definita, essa si pone, in sostanza, come un ultimatum alla compagnia di giro e di diversamente-conoscenti fondata dal capocomico Beppe Grillo.
O bere o affogare. O cedere e accettare una coalizione con Forza Italia o affogare: l'abbandono di Berlusconi da parte di Salvini non è contemplabile come eventualità, vista la natura stretta e cogente del mandato esplorativo. Giacché (e questa è la sensazione che circola negli ambienti più informati della Repubblica) una volta consumata l'«Operazione Casellati», non ci sarà un nuovo giro con un altro esploratore col mandato di guardare anche al Pd. Ci sarà, invece, l'incarico a un personaggio «terzo», del genere di Sabino Cassese.
A Cassese dovranno dire di sì o di no tutti i partiti, ben sapendo che un suo governo avrà un orizzonte limitato all'autunno, la stagione nella quale si potrebbero celebrare, con una nuova legge elettorale (cui dovrebbe dare, non come per il Rosatellum, il proprio contributo anche il movimento di Grillo), le nuove elezioni generali. Cari amici lettori, finalmente il vascello è salpato. E il nocchiero Mattarella, sul quale avevamo espresso tanti dubbi, ha compiuto la manovra giusta.
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