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Se si usa la parola «opposizione» per dolersi della drastica riduzione di presenze del Pd negli uffici di presidenza
di Marco Bertoncini 31.3.2018 www.italiaoggi.it
Se si usa la parola «opposizione» per dolersi della drastica riduzione di presenze del Pd negli uffici di presidenza, e segnatamente ci si lamenta per l'esclusione dai collegi dei questori, si commette uno strafalcione tecnico. Altro, invece, è se si discetta della linea che subito dopo il voto Matteo Renzi ha imposto al proprio partito, finora faticosamente serbata.
L'opposizione è sancita, nella prassi e nei regolamenti parlamentari, dall'atteggiamento tenuto sulla fiducia al governo. Fin quando non si vota pro o contro un esecutivo, non esistono né opposizione né maggioranza. Per garantire la rappresentatività dei gruppi i regolamenti prevedono, all'avvio delle legislature, l'elezione degli uffici di presidenza con voto limitato, fra l'altro dopo intese che il presidente promuove fra i gruppi (un tempo c'erano ed erano rispettate, da parecchio invece si va a trattative di qua e di là). Reclamare, quindi, posti di questore in nome della propria «opposizione» non ha fondamento. Reclamarli in nome del proprio peso e di passati equilibri istituzionali, è motivato.
Altro è, invece, discutere dell'opposizione di cui parla sempre Renzi. Anche qui, non ha molto senso asserire che è la scelta operata dagli elettori: chi ha votato Pd l'ha votato perché governi; semmai, saranno le condizioni politiche a inibire il ritorno in maggioranza. Ha invece sicura base propugnare la non partecipazione a governi, nemmeno dall'esterno. Si tratta di una decisione politica più che rispettabile, probabilmente conveniente ai democratici (in prospettiva non immediata). Senza dubbio, invece, è una scelta detestata dalla coppia Fatto-Repubblica, tifosi esasperati di un accordo fra M5s e Pd, con quest'ultimo ossequioso ai vincitori.
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