Che disastro quei candidati Molti, certo, ma non tutti
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Weber, «Esistono due modi di fare della politica la propria professione: si può vivere “per” la politica, oppure “di” politica».
di Gianfranco Morra 10.2.2018 www.italiaoggi,it
V'è una frase di Max Weber che è divenuta una massima classica della politica. La troviamo nella sua ultima opera, quando ormai nella neonata Repubblica di Weimar il suo realismo era divenuto timore per le future sorti della liberaldemocrazia.
Eccola: «Esistono due modi di fare della politica la propria professione: si può vivere “per” la politica, oppure “di” politica». Molto ovvia, si dirà. Certo, ma Weber amplia e chiarisce criticamente il concetto: «La regola generale è che si facciano le due cose insieme: chi vive «per» la politica ne fa la sua «ragione di vita», serve una causa. «Della politica vive colui che aspira a farne una fonte di interesse durevole» (Economia e società, postuma 1922, II, 9, 3).
Una massima utilissima, per noi, che vediamo in giro soprattutto politici del secondo tipo, pronti a ogni salto della quaglia pur di mantenere la scranna (da noi 566 parlamentari hanno cambiato gruppo!). Ma non sono tutti così: pochi «idealisti» ci sono ancora, ma, soprattutto, molti mescolano le due finalità. Weber sa che questo mix di altruismo e interesse appartiene alla natura umana.
Anche se egli ammira soprattutto coloro che sanno agire da veri politici, perché ne posseggono le tre virtù fondamentali: 1. la passione come ardente dedizione ad una causa; 2. la responsabilità come guida dell'azione; 3. la lungimiranza come calma attesa del momento opportuno: «Non basta essere un capo, bisogna essere anche un eroe. Solo chi è sicuro di non venir meno anche se il mondo è troppo stupido o volgare, solo chi dice: «Non importa, continuiamo!», solo un uomo di questo tipo ha la vocazione per la politica» (La politica come professione, 1919).
Tre virtù che è difficile trovare insieme. Ma talvolta qualcosa in alcuni politici lo vediamo ancora. Anche nel lungo e per lo più sgradevole elenco di candidati che i partiti ci hanno imposto. E che costringerà gli elettori a votare per chi non apprezzano e non di rado disprezzano. Spesso il gioco dei partiti è davvero sporco e squallido.
Molti, anziché proporre un programma, per il quale forse non hanno la testa adatta, cercano di vincere denigrando gli avversari. Nel Veneto ciascun candidato grillino è stato invitato dal M5s a tirar fuori il peggio sui concorrenti: nefandezze, foto imbarazzanti, dichiarazioni compromettenti. Convinti che l'elettore, se conosce la meschinità dei candidati delle altre liste, voterà per i grillini. Che i nemici a loro volta ritraggono come mostro.
Una repubblica fondata sullo sputtanamento? Il dibattito elettorale non è sui programmi, ma sulla indegnità dei competitori. Non è un confronto, ma un gioco della reciproca denigrazione. A non pochi viene la voglia di non votare. Comprensibile, ma sbagliata. Il voto richiede sempre di «turarsi il naso» (Montanelli): non è mai la scelta del bene, ma del meno peggio. Che anche nel nostro tenebroso momento continua a esserci.