M5S.programma. “Giù l’Irap per le piccole imprese”. E sparisce il no alle grandi opere

Di Maio svela i venti punti per il governo: non c’è il referendum sull’euro. No tax area allargata a 10 mila euro, 200 mila posti nel ciclo dei rifiuti

ILARIO LOMBARDO, 22.1.2018 www.lastampa.it

Nel mondo economico di Di Maio il modello è la Trumpnomics declinata sul Paese delle piccole e medie imprese, con una spolverata di statalismo Di Maio Il candidato premier del M5S Luigi Di Maio

 

Partiamo dalle assenze, quelle fisiche e quelle programmatiche. Non c’è Beppe Grillo, omaggiato da Luigi Di Maio con un ricordo che è parso abbastanza sbrigativo. Lo definisce «il nostro megafono» e assicura che sarà sempre «una parte fondamentale del M5S». Cinque anni fa il comico era solo contro tutti «ora– dice il candidato premier – siamo tanti». Tanti che non sembrano più aver bisogno di lui, pronto a calcare la scena di nuovo lontano dalla politica e a liberare il suo blog dai lacci del M5S. 

Grillo fu l’ideatore del referendum sull’euro e all’uscita dall’eurozona dedicò uno spettacolo in cui si appariva vestito di una bandiera dell’Ue bucata. Era uno dei capitoli forti del programma del 2013. Ora non ce n’è traccia tra i venti punti con cui Di Maio ha sintetizzato, senza però dettagliare le coperture come promesso, la sua idea di Smart Nation. 

 Lo slogan della campagna elettorale sarà «partecipi, scegli, cambia», il titolo finale di un programma «né di destra né di sinistra» dove non c’è neanche l’ombra delle campagne contro le grandi infrastrutture (No Tav scomparsi dai radar) e c’è meno spazio per le battaglie fondative sui beni comuni, schiacciate dalle grandi promesse economiche: no tax area per redditi sotto i 10 mila euro, riduzione cuneo fiscale e riduzione «drastica» dell’Irap per le piccole e medie imprese, diminuzione delle aliquote Irpef per non scontentare il ceto medio. Ricordate il popolo della decrescita, coccolato da Grillo che immaginava un mondo dove tutti lavoravano di meno ed erano più felici? Dimenticatelo. 

 

 Nel mondo di Di Maio il modello è la Trumpnomics declinata sul Paese delle pmi, con una spolverata di statalismo. Il leader sta attento anche a non far passare la proposta sul reddito di cittadinanza come una misura assistenzialista, che è l’accusa più frequente ricevuta da Matteo Renzi: due miliardi andranno ai centri per l’impiego e la formazione non sarà a carico delle imprese ma dello Stato. Facendo un rapido calcolo dei numeri presenti in chiaro, sono previste 10 mila nuove assunzioni per le forze dell’ordine, altri 10 mila per le commissioni territoriali sui migranti, più 200 mila posti di lavoro nel ciclo dei rifiuti. Fa 220 mila a cui vanno aggiunti 17 mila per ogni miliardo investito in rinnovabili. Quanti miliardi non si sa: si legge 50 in settori strategici ad alto moltiplicatore - tra cui rientrano le rinnovabili - su cui investire in deficit in un piano che prevede un taglio del rapporto deficit/pil di 40 punti in dieci anni.

Nell’Italia governata dai grillini ci saranno un milione di auto elettriche entro il 2020, l’uscita dal petrolio nel 2050, una banca di investimento, il ministero del Turismo sarà staccato dai Beni culturali e per valorizzare il settore il sito Italia.it diventerà un portale di e-commerce per comprare prodotti made in Italy. Faranno certamente discutere le proposte sulla giustizia che equiparano mafia e corruzione sia nell’utilizzo di un agente provocatore sotto copertura sia nelle intercettazioni informatiche, oltre alla previsione di una Procura nazionale che si occupi di banche. 

 Per attirare il voto moderato, il team di creativi ha consigliato al leader una formula sempre efficace: parlare di figli.

Di Maio li cita di continuo, quando promette che eliminerà la riforma Fornero sulle pensioni e quella sulla Buona Scuola, e quando annuncia 17 miliardi per importare il modello francese di welfare sulle famiglie, per convincere gli italiani a tornare a procreare. È un programma mastodontico, ambizioso, senza le venature anti-Ue e più tradizionale, tagliato su misura per Di Maio, che richiamando il tema delle alleanze, torna a sfidare i partiti: «La sera del voto ci dovrete dire perché non siete d’accordo con il nostro programma»

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