Berlusconi, il dinosauro al fard è ancora un passo avanti
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Sarà pure un ultraottantenne impresentabile, ma il Cav sfreccia (per l'ennesima volta) sulla corsia di sorpasso.
MASSIMO DEL PAPA, 24.12.2017 www.lettera43.it
Lasciando impreparati i suoi rivali, spocchiosi ma sconcertati. Di colpo fragili, quasi in panico.
Berlusconi ha 81 anni. È un vecchio. È logoro. È in politica da 25. È salito e sceso da Palazzo Chigi come dalle scale di casa sua. È della generazione della guerra. Si tinge i capelli. Si è fatto trentadue lifting. Ha la faccia salmonata, una maschera tragica. Ha una storia giudiziaria discutibile e sulla quale si discuterà in eterno. È impresentabile. Sì, d'accordo, tutto questo e volendo anche di più ma intanto è ancora qua e mangia posizioni agli alleati, sale al 20%, traina (dicono gli ultimi sondaggi) la coalizione al 39%, l'avevano dato per morto tre volte, per sepolto la quarta ma lui “rinasce come rinasce il ramarro”, buca la terra, salta fuori, torna ago della bilancia, si fa bilancia a tutto tondo. Comunque finiscano le elezioni, sarà impossibile fare a meno di lui per chiunque abbia 40 anni meno di lui. Mentre sul suo carrozzone risalgono, a frotte, tutti quelli che ne erano scesi in tempi sospetti.
IL REPERTORIO NON CAMBIA. A questo punto, va capito se Berlusconi è una anomalia italiana, se l'Italia è una anomalia berlusconiana, oppure se c'è dell'altro quando uno oltre l'età della pensione dà dei punti, come competitore elettorale, a gente di due o tre generazioni più giovane. Il repertorio di Berlusconi politico in un quarto di secolo non è mai cambiato: la rivoluzione liberale (mai fatta, mai neppure sognata quando aveva il potere), meno tasse e meno burocrazia (idem come sopra), ha sostituito i grillini ai comunisti, Di Maio a D'Alema (nel frattempo precipitato insieme ai suoi coetanei in un cono d'ombra dal quale tenta, tentano tutti, di riemergere in modo patetico). Come uomo di governo, di Stato non è esistito, che abbia pensato anzitutto, se non esclusivamente, al proprio conflitto d'interessi, rendendolo un concerto, non lo nega più nessuno, lui compreso, e molto spesso è parso fuori controllo ai suoi stessi collaboratori più intimi. «Aveva in mano l'Italia, ma andava a casa di Noemi», dice Bruno Vespa.
GENERAZIONE B. Eppure la gente, stando ai sondaggi, crede ancora a Berlusconi. Pensa ce la possa fare. Immagina davvero un futuro più moderno con lui. È la stessa gente di 25 anni fa? Non proprio, molti nel frattempo si sono estinti oppure disillusi, si son dati ad altre parrocchie, sono passati al non voto; c'è, per forza di cose, una nuova fascia che gli dà fiducia e gliela dà perché considera gli altri più improbabili e vecchi di lui, perché non si fida dei casinisti, degli antivaccinisti legati mani e piedi al server di una società privata: azienda per azienda, debbono aver pensato, tanto vale quella del padrone di Mediaset, che è più solida e più divertente. E si può diffidare fin che si vuole dell'ex Cavaliere, lo si può anche odiare come in molti hanno fatto per metà della loro vita e per tutta la loro carriera, ma questo non impedisce la constatazione della realtà e cioè che uno di 81 anni sembra avere più grinta, più birra della generazione B della politica, B come Bambocci, come Bimbiminkia. Un dinosauro al fard, tintura e battute da avanspettacolo del ventesimo secolo, riesce a superare velociraptor trenta-quarantenni che al confronto appaiono ambiziosi, anche cinici, ma irrimediabilmente loffi, inconsistenti.
Di Maio lo patisce. Salvini lo subisce. Renzi dovrà accettarlo, convenendo a lui per primo. Altri mollano, vanno a fare ad allevare Peter Pan come loro (ma con vitalizio incorporato): non basta liquidare la faccenda con la solita prognosi sarcastica, “questo è un Paese per vecchi”, non è così facile. Troppo facile anche cavarsela col solito, poco analitico “lui ha i soldi, lui ha le televisioni”. La sinistra ha sempre avuto rendite televisive di posizione, oggi i grillini oltre a La7 (Cairo è un loro esplicito sostenitore) hanno la Rete, ma non sembrano in grado di manipolarla con efficacia a dispetto dei proclami futuristici o futuristi, il concetto di modernità dei grillini è decrepito, di cortissimo respiro, quello della sinistra è un posseduto con la testa all'indietro malgrado possa contare su una rete storica di circoli Arci, di associazioni, di istituzioni, che sarà anche superata ma rappresenta sempre un bacino culturale, id est ideologico, di tutto rispetto. Alla fine conta il fattore umano, e quello, a quanto pare, prescinde dalla carta d'identità, per non dire dei trascorsi esistenziali e perfino giudiziari.
GIOVANI PIÙ VECCHI DEL VECCHIO. I giovani sono più vecchi del vecchio; resta da capire come mai gente nel fiore dell'età non riesca ad essere più convincente, più appetibile di uno che ha superato le 80 primavere. «Mi sento 40 anni» ha detto Berlusconi e l'età percepita non sembra buttata là a caso: vuole stabilire un confronto, una sfida credibile anche sul piano anagrafico. Una certa, rozza schizofrenia si è sempre riferita a Berlusconi come ad un naif, quando non un idiota, e insieme a un genio del male; comunque uno dalla laurea irrilevante, uno con una cultura da Drive-in, da Colpo Grosso. Davvero? Berlusconi non è cresciuto (e invecchiato) alla scuola fantozziana dei dibattiti autoreferenziali dei comunisti, neanche nelle sottigliezze parrocchiali e cannibali della Dc, ma guardiamo all'oggi: la cultura dei Di Maio e i Di Battista, che in vita loro non hanno combinato niente prima di darsi al Colpo Grosso della politica, inventati dal cabarettista Grillo; dei Salvini, dagli studi non pervenuti; dei Renzi, dall'onesto curriculum liceale, uno che come orizzonte filosofico cita Jovanotti; delle Meloni, che ancora nessuno ha capito da dove sia uscita col suo partito dal nome di un Cinepanettone; degli Alfano, non pervenuto per vocazione; la cultura di questi e praticamente tutti i coetanei prestati alla politica in cosa sarebbe diversa? Dove stanno i cervelli fini nel prato verde della politica attuale? Forse non è un caso che la cosa più rilevante attribuita a Renzi e Salvini siano le ospitate adolescenziali a programmi televisivi sulle reti di Berlusconi: politicamente un rapporto devastante, le marionette in mano al puparo.
RIVALI DI COLPO FRAGILI. Se poi la miseria del prato verde, prato basso politico, dipenda da una scuola dell'obbligo mediocre “piuttosto che” da strutture e sovrastrutture che non hanno saputo sfornare di meglio negli ultimi tre o quattro decenni (insomma se questi siano più effetti che cause) è questione che lasciamo alla sociologia; qui basti considerare che un ultraottantenne in fama di cera, o di cerone, sfreccia (per l'ennesima volta, per l'ennesima generazione politica) sulla corsia di sorpasso e lascia impreparati i suoi rivali, spocchiosi ma sconcertati, di colpo fragili, quasi in panico. Probabilmente è vero il luogo comune che vuole i figli della guerra più duri dei figli della bambagia, chi cresce da bamboccio non può avere le palle, i suoi orizzonti, nel bene e nel male, non sanno protendersi oltre un benessere personale, in un modo o nell'altro mi sistemo “e a culo tutto il resto”. Una politica personalizzata, familiare. Anche quella di Berlusconi, “nato da umili origini”, come il chirurgo Sassatelli di Amici Miei, lo è sempre stata, si capisce: ma su scala gigantesca. La vanità di quelli che aspirano a finire in televisione e fare quattro soldi non può competere con quella di chi i soldi, e la televisione, li fa, letteralmente, e, in bene come in male, ha sempre pensato non in grande, ma in ciclopico.