Gli oppositori di Renzi non sanno perdere
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Lasciatelo lavorare. Matteo Renzi è stato votato alle primarie: una vittoria schiacciante. Ha diritto di proporre la sua politica e di portarla alla prova delle urne.
di Carlo Valentini 15.12.2017 www.italiaoggi.it
Lasciatelo lavorare. Matteo Renzi è stato votato alle primarie: una vittoria schiacciante. Ha diritto di proporre la sua politica e di portarla alla prova delle urne. Sarà quello il suo esame. È davvero sorprendente che invece quotidianamente sia sottoposto a una sorta di guerriglia interna, coi Vietcong di turno, a volte nascosti nelle risaie, pronti al cecchinaggio.
Qui non è in discussione se l'azione politica di Renzi sia giusta o meno, se egli abbia commesso (o commetta) degli errori, bensì il fatto che neppure in campagna elettorale i suoi oppositori interni sentino l'esigenza di un armistizio. I partiti hanno delle scadenze, i loro congressi (chi li fa), le (eventuali) primarie, le elezioni. Chi perde, è fisiologico che venga sostituito. Ma sarebbe opportuno attendere questi appuntamenti per la resa dei conti.
Intendiamoci, nessuna censura né il silenziatore alle critiche. Però un conto è caratterizzare un proprio impegno politico anche in dissonanza col segretario del proprio partito, un altro è mettere il leader su un perenne girarrosto. La caratteristica è tipica del Pd. Negli altri partiti non si registra questa situazione. È vero che si tratta di formazioni politiche meno strutturate e spesso costruite su misura del capo, ma non mancano le cosiddette minoranze che però non danno una rappresentazione arlecchinesca dell'organizzazione alla quale appartengono. Certo se Matteo Salvini perderà le elezioni Roberto Maroni dirà la sua, così come tra i grillini sarà crocifisso Luigi Di Maio o Silvio Berlusconi dovrà optare per la pensione . Ma, appunto, è l'esame elettorale che determina il destino politico di un leader.
Si può tentare di non vincere le elezioni sia facendo una scissione ma anche proponendo un'immagine sconclusionata della propria forza politica e un'immagine debole del proprio leader. Molti anni fa (1979, si respiravano incertezze e paure) Federico Fellini realizzò (glielo chiese Ugo La Malfa, profeta inascoltato della programmazione economica e della stabilità politica) il suo unico corto, intitolato Prova d'Orchestra, dove per rappresentare il caos politico italiano il regista scelse un palcoscenico su cui avviene la morte del direttore d'orchestra e quindi ogni strumento finisce per andare per suo conto col risultato di uno stridore inascoltabile.
Un breve film che varrebbe la pena proiettare alla prossima direzione del Pd.
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