Renzi sta facendo un dietrofont oppure si sta riposizionando?
- Dettagli
- Categoria: Italia
Applausi. Le dichiarazioni aperturiste di Matteo Renzi, alla conferenza organizzativa del Pd a Napoli, sabato scorso, hanno registrato reazioni entusiastiche all'interno del partito
di Goffredo Pistelli, 2.11.2017 www.italiaoggi.it
Applausi. Le dichiarazioni aperturiste di Matteo Renzi, alla conferenza organizzativa del Pd a Napoli, sabato scorso, hanno registrato reazioni entusiastiche all'interno del partito. Battimani dai fratelli coltelli del correntone di Dario Franceschini, come dagli antipatizzanti, radunati intorno al Guardasigilli Andrea Orlando, sempre con un piede sulla soglia del Nazareno. Renzi ha detto che non porrà veti alla coalizione di centrosinistra, come gli ha chiesto il premier Paolo Gentiloni, tutto teso a rioccupare la sua poltrona. E il segretario è sembrato rassicurare persino lui quando, chiudendo il suo discorso napoletano, ha detto addirittura che non importa «chi» governerà del Pd, ma «se» il Pd lo farà.
Secondo una lettura che va per la maggiore, Renzi avrebbe finalmente accettato il ruolo di leader fra i tanti, stile Prima repubblica, e avrebbe chinato il capo alla diuturna negoziazione fra i partiti e correnti. L'auto-ridimensionamento di Renzi ci riporterebbe, per stare ai progenitori del Pd, alla vecchia Dc della leadership condivisa fra Andreotti e Forlani, Donat Cattin e Cossiga, Bisaglia e Gava o al vecchio Pci in cui Berlinguer era un primus inter pares che si chiamavano Ingrao, Amendola e Macaluso, Napolitano e Pajetta, Pecchioli e D'Alema.
Saremmo, insomma, alla morte cerebrale della Rottamazione e lo stesso ukase contro Ignazio Visco, che aveva titillato le nostalgie di molti, sarebbe da considerarsi, né più o né meno, il colpo di coda che precede la fine. Una lettura incompatibile col carattere del Rottamatore, che non è mai arretrato sin qui (ed è difficile cambiare a 42 anni) ma che soprattutto pecca di realismo: non tiene affatto conto della necessità di Renzi, di superare la sconfitta elettorale siciliana, che tutti danno per acquisita ma che, vista scritta sugli exit poll delle dirette tv, farà certo un altro effetto.
Renzi, rintuzzato nel suo tentativo di iniziare una campagna elettorale col botto sulle banche, ha voluto offrire un ramoscello d'olivo al partito, fingendo di volerlo rifare, l'Ulivo, ma per far sì che il Pd tutto s'accolli la Sicilia. Ammuina legittima peraltro, perché il segretario non ha responsabilità nella débâcle annunciata sull'Isola: Rosario Crocetta l'aveva coccolato Pier Luigi Bersani, riducendo il Pd a un misero 13,42% in quella consultazione. Renzi, appena aveva potuto, aveva messo alle calcagna del governatore uno dei suoi uomini migliori, Davide Faraone, ma invano. Archiviamo la Sicilia, pensa dunque Renzi. Ci sarà dopo il tempo di discutere, fuori e dentro, fra gli amici e gli avversari, su che cosa fare fino a marzo, quando si tornerà alle urne.
© Riproduzione riservata