C'è un grillino che vive in noi

E che distrugge la concezione dello stato di diritto

 di Domenico Cacopardo,30.9.2017 da www.italiaoggi.it

Nella tragedia classica e nelle sue evoluzioni rinascimentali, era usato comunemente l'artificio scenico e narrativo chiamato «Deus ex machina». Si trattava di un personaggio (un Dio, un re, un mago) che entrava in azione quando il garbuglio era diventato inestricabile e, con l'abilità, l'inventiva o la bacchetta magica, lo scioglieva assicurando il lieto fine che gli spettatori si attendevano.

Il meccanismo (che nella vita quotidiana significa fuga dalla realtà) è stato ampiamente utilizzato nell'epoca della barbarie politica, giuridica e amministrativa che ha colpito il nostro Paese. Lo strumento era ed è l'Authority, un soggetto estraneo (eppure appartenente) alla pubblica Amministrazione, dotato di superpoteri e, quindi, di capacità di intervento straordinario. Poiché alla straordinarietà dell'azione si accompagnava (e si accompagna) la straordinarietà degli emolumenti (parametrati su quelli anomali dei dipendenti della Banca d'Italia), il metodo ha avuto grande successo.

La costituzione di ogni Authority è stata segnata dal reclutamento di personale dei ministeri, degli uffici giudiziari, delle università e di giovani volenterosi, tra i quali spiccano i nomi di tanti figli di gran commis, beneficiari di una concorsopoli antelitteram senza concorsi. L'ultima superfetazione è, naturalmente, l'Authority anticorruzione, il Deus ex machina dei Deus ex machina, capace (teoricamente) di osservare con il suo occhio penetrante e acuto (ma non tanto) tutto lo scibile amministrativo, vecchio, nuovo e in fieri.

Le Authorities sono, pour cause un'invenzione americana. Un'organizzazione amministrativa marginale (coerente col principio che «tutto è permesso tranne ciò che è espressamente vietato» il contrario del nostro «tutto è vietato tranne ciò che è espressamente permesso»), rendeva necessarie agenzie di vigilanza specifiche. Invece noi avevamo, e abbiamo, un'amministrazione elefantiaca e pervasiva, da riformare, non da appesantire con nuovi organi dai superpoteri.

La ragione, in definitiva, va trovata nell'insicurezza di un personale politico sempre meno avvertito e consapevole. In fondo, la via d'uscita (del Deus ex machina) era lì, pronta, idonea a tappare la bocca ai critici e agli oppositori (che avrebbero trovato, da Manuale Cencelli, le loro posizioni all'interno degli organi collegiali). Così come le norme sempre più stringenti in materia di finanziamento pubblico dei partiti (anni 80 e 90) e, di recente, le superpene per i reati corruttivi, compresa la possibilità di sequestrare i beni dei semplici indiziati di corruzione. Materia tutta pronta per le decisioni della Corte per i diritti dell'uomo e per gli altri tribunali internazionali, abituati a colpirci, gravando il nostro bilancio malato di pesanti indennizzi.

Il degrado della democrazia italiana risponde alle esigenze del grillino che è in ognuno di noi. L'invidia personale, trasformata in fenomeno sociale, diventa il motore di un cambiamento nel quale i diritti civili, la medesima concezione del diritto e dello Stato di diritto perdono i loro caratteri fondanti in modo da accarezzare i peggiori sentimenti generali.

Così, il Pd (il cui nome «Partito Democratico» dovrebbe riecheggiare i liberal americani, per i quali i sacri principi del 1787, indipendenza e costituzione, debbono essere protetti e promossi) diventa la mosca cocchiera della grillizzazione dell'Italia, cioè del mancato rispetto dei diritti, compresi i «diritti quesiti» cioè il rispetto dei patti che lo Stato è andato via via stipulando coi suoi cittadini, compresi i parlamentari, il rispetto del principio di innocenza, il vincolo di mandato (sul quale vedrete mostruose novità) e tanti altri casi.

Verrà un giorno, in cui il parlamento riprenderà in mano i fili della liberal-democrazia e dello Stato di diritto? Difficile immaginarlo: quando il tiranno di Siracusa, Gelone, venne ucciso, la folla festante si riversò per le strade. Solo una vecchina si mise a piangere, seduta sullo scalino del tempio di Apollo. Alcuni giovani le chiesero: «Non sei contenta? È morto Gelone, ora siamo liberi!» E lei rispose: «Non piango la morte di Gelone. Piango perché penso a chi verrà dopo di lui».

Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

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