Franceschini, il piddino sempre in piedi

Da vero democristiano si è sempre schierato con la maggioranza. Seppellendo i perdenti. Con un fine: preservare il potere. Ecco perché il nuovo riposizionamento del ministro fa tremare Renzi.

FRANCESCA BUONFIGLIOLI, 28.6.2017  da www.linkiesta.it

Renzi e la maledizione della rottamazione

Il Pd si rivolta contro Renzi, Prodi: «Allontanerò la mia tenda»

Va' dove ti porta Dario. È questa la regola per capire che aria tira nel Pd. Già, perché dietro ogni sommovimento, ogni "tradimento", ogni cambio della guardia dem c'è sempre stato lui: Franceschini. Democristiano, passato al Ppi, alla Margherita e poi all'Ulivo, quindi al nuovo partito veltroniano, sottosegretario con D'Alema, ministro con Letta, Renzi e Gentiloni, Franceschini è riuscito a rimanere sulla cresta dell'onda. Sposando i vincitori e seppellendo, con carità (demo)cristiana i vinti. Sempre in maggioranza, Dario, incarnando «l'eternità della Dc». «Non ne è mai uscito», spiega chi conosce bene le dinamiche di Pd e antenati, «lui è rimasto dov'era. Sono gli altri che si sono spostati».

Per questo il suo alt al segretario, prima in Twitter poi in una intervista a Repubblica, non è passato inosservato. «Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo», è il messaggio che il ministro ha inviato all'ex premier finora sostenuto e colpevole di aver gelato le velleità viniliche di Romano Prodi escludendo la possibilità di una coalizione di centrosinistra. A difendere Renzi è intervenuto Luca Lotti: «Non possiamo rimettere sempre in discussione tutto», ha messo in chiaro. «Abbiamo votato, pochi giorni fa, abbiamo fatto le nostre primarie: in 2 milioni hanno espresso il loro voto a Renzi, fine della discussione. No al logoramento interno». «A dire la verità la discussione è appena iniziata», ha ribattuto il collega di governo. «In un partito che si chiama democratico, discutere civilmente e apertamente del proprio futuro e di come andare alle prossime elezioni, se da soli o in coalizione, è una cosa normale, positiva e utile che non comporta la messa in discussione della leadership del segretario che abbiamo eletto insieme alle primarie. Francamente siamo all'abc della democrazia interna».

IL MINISTRO CHE FIUTA IL VENTO. Non proprio una rassicurazione. «Dario Franceschini come sempre fiuta il vento. Speriamo per lui che il suo naso sia quello di una volta», aveva twittato non senza sarcasmo il renzianissimo Ernesto Carbone. Del resto il suo istinto non l'ha mai tradito. Non quando nel 2007 si candidò alla guida del Partito in ticket con Veltroni; non quando divorziò dall'ex sindaco di Roma con la neonata corrente Areadem per garantire nel 2010 l'appoggio a Pier Luigi Bersani; non quando a fine 2011 cominciò a esprimere dubbi sullo Smacchiatore di Bettola per supportare Guglielmo Epifani e poi Enrico Letta. Non quando con quest'ultimo lasciò Bersani al suo destino (tanto che i due si guadagnarono sulla stampa l'appellativo di «Bruto e Cassio»). E nemmeno quando tradì Letta («Mi hai accoltellato alle spalle», lo avrebbe accusato il professore stando ai retroscena dell'epoca) per garantire il suo sostegno a Renzi. Del quale Franceschini è stato «l'unico vero alleato».

L'ESERCITO DI AREADEM. Se non altro l'unico alleato efficace, visto che nella sua corrente nuotano una novantina di deputati e una trentina di senatori, forze accumulate anno dopo anno, con pazienza e dedizione. Senza contare una rete locale capillare. «Franceschini è una talpa nei territori. Oggi non c'è circolo o comitato regionale che non abbia un franceschiniano al vertice o accanto al vertice», fa notare chi conosce la carriera del ferrarese. Un esercito che è difficile ignorare, anche per "l'uomo forte" di Rignano. Per la cronaca, l'altro alleato di Renzi sarebbe Matteo Orfini. «Nei piani avrebbe dovuto garantire l'apporto dei cosiddetti comunisti», spiega la fonte, «ma in realtà ha portato una manciata di persone».

Uomo di «molti tradimenti» Franceschini lo sarà anche stato. Ma derubricarlo a semplice voltagabbana sarebbe un errore di valutazione. A differenza di altri che, senza fare nomi, hanno creato ad hoc partiti per saltare agilmente da una maggioranza all'altra, da un polo all'altro, il ministro per i Beni culturali è in realtà un «trasformista», nella più pura tradizione scudocrociata. «Per lui assicurare un governo al Paese è tutto, è il fine», è il ragionamento. «Per questo se all'interno del partito c'è una maggioranza la sostiene», se viene a mancare cambia registro. La missione di Franceschini, iscritta nel suo Dna, in altre parole è «rafforzare il potere esistente» non demolirlo. Ovviamente lo sforzo non è gratis et amore dei. C'è sempre un tornaconto: acquisire peso e occupare posti chiave. Il che ha permesso a Franceschini di sopravvivere nei decenni a ogni terremoto, cambio di rotta e rottamazione. Non a caso sono di Areadem Ettore Rosato e Luigi Zanda, rispettivamente capogruppo Pd alla Camera e al Senato. Mentre Michela Di Biase, moglie del ministro, è stata scelta come anti-Raggi per guidare l'opposizione dem al Campidoglio.

LO SCHIAFFO IMPERDONABILE AL PROF. Il messaggio di Franceschini a Renzi per chi ha un orecchio allenato ha il suono di un bacio della morte. Il suo attacco a Prodi, secondo l'osservatore, è agli occhi del ministro imperdonabile. «Ha rotto la solidarietà democristiana», viene fatto notare. «Tra ex comunisti è diverso, c'è l'abitudine a farsi del male». E dire che a ridosso della mancata elezione di Prodi al Quirinale, nella caccia a 101 franchi tiratori, venne per un attimo fatto anche il suo nome. Dal canto suo, il Professore, nelle ultime settimane acclamato come una rock star sul palco nostalgico del Pd, ha dato il via al fuoco amico contro il fiorentino seguito da Giorgio Napolitano, Veltroni e il governatore emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini. «Leggo che il segretario mi invita a spostare un po' più lontano la tenda», ha risposto secco il Prof. «Lo farò senza difficoltà». Lasciando presagire un suo addio al partito. Uno strappo sopportabile da chi, come diceva il filosofo bolognese Stefano Bonaga a L43, «ne ha passate tante: da Bertinotti a D'Alema, fino ai 101. Ora con l'autorevolezza che il popolo attribuisce sempre a chi è stato tradito può svolgere la funzione di grande vecchio, di saggio che indica la strada dell'unità». Con o senza Renzi.

IL SOGNO MACRONIANO DEL SEGRETARIO. Ma anche il segretario, secondo alcuni osservatori, potrebbe fare a meno del Pd. Nella sua testa aleggerebbe il sogno macroniano. «Renzi conta di liberarsi di tutto ciò che è dalemiano, tutto ciò che sembrava sinistra e pure di chi ha collaborato con la sinistra e cioè Prodi», è il ragionamento. «Vuole creare un partito pigliatutto centrista, come se i voti fossero lì ad aspettarlo». E in questo piano «Franceschini non ha ancora capito che ruolo avrebbe». Per cui prudentemente preferisce tirarsi indietro. Con una postilla finale, insiste il conoscitore della sinistra italiana. «Ci sono voltagabbana senza progetto, che si muovono solo in funzione dell'attaccamento alla poltroncina. E ci sono trasformisti che in cambio di un tornaconto rispondono a logiche e a fini diversi, più alti». E Franceschini, nel bene e nel male, è uno di questi.

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