Legittima difesa, la farsa del Pd: la amplia, ma per finta

La linea è quella di Pietro Grasso, presidente del Senato: «Non si può tornare ai tempi del Far West, con la pistola nella fondina, a spararsi gli uni con gli altri».

13 Aprile 2017 di Fausto Carioti, da Libero.it

La linea è quella di Pietro Grasso, presidente del Senato: «Non si può tornare ai tempi del Far West, con la pistola nella fondina, a spararsi gli uni con gli altri». È la stessa cosa che due giorni fa aveva detto Andrea Orlando, ministro della Giustizia: «Non si può delegare ai singoli la propria difesa». Il succo del discorso è che, in fondo, la legge sulla legittima difesa va bene così com’è: le si può apportare un ritocchino, si può fare un «tagliando» per dare agli elettori l’impressione che in Parlamento c’è chi pensa a loro, ma i capisaldi restano quelli che ci sono già oggi.

Il primo è la proporzionalità: chi si difende non deve esagerare. Il secondo è la discrezionalità del magistrato: siccome la legge non prevede criteri oggettivi, come potrebbero essere la difesa nelle mura di casa o la presenza di minori, per stabilire se l’aggredito esagera o no nella propria difesa tutto, alla fine, dipenderà dall’idea che se ne farà il giudice. E dunque - giocoforza, perché i magistrati sono esseri umani - dalle sue convinzioni etiche.

L’ennesima questione spinosa su cui la politica decide di non decidere, preferendo appaltarla alle toghe.

Una scelta che Walter Verini, capogruppo del Partito democratico in commissione, riesce persino a rivendicare con orgoglio: «Noi ci muoviamo sulla linea della proposta del relatore Ermini, che irrobustisce la possibilità interpretativa del magistrato».

La sostanza non cambia nemmeno adesso che il partito di Matteo Renzi ha deciso di proporre regole meno rigide di quelle che covava da mesi.

Si è mosso dopo mille tormenti e dopo avere assicurato che la sua proposta originaria era perfetta e non necessitava di alcuna modifica, e come sempre gli capita lo ha fatto sull’onda della emotività degli elettori e con un occhio alle scadenze elettorali. Ha pesato sicuramente quanto accaduto in Emilia negli ultimi giorni: prima l’omicidio del barista Davide Fabbri a Budrio, quindi la fuga - sinora vincente - dell’ennesimo assassino venuto dall’est, durante la quale ha ucciso la guardia ecologica Valerio Verri. Il rischio di vedersi appiccicata addosso l’etichetta di partito dell’immigrazione incontrollata e dei delinquenti è reale e qualcosa in favore di Abele, il Pd, deve farla. Se solo sapesse cosa.

Anche se l’hanno presentata con i soliti squilli di fanfara, nella migliore tradizione dei renziani la novità è più nel packaging che nella sostanza.

Dei due emendamenti alla sua proposta iniziale annunciati ieri dal Pd, il primo prevede che lo Stato, in caso di assoluzione di chi si è difeso, rimborsi le spese legali sostenute: il minimo della decenza, lo scandalo è che oggi questo non avvenga. E comunque si tratta di una scopiazzatura di quanto fatto lo scorso anno dall’amministrazione leghista in Lombardia. Il secondo emendamento è poco più di un’operazione di maquillage: il testo originario preparato dal Pd interveniva sull’articolo 59 del Codice penale, quello sulle «circostanze non conosciute o erroneamente supposte», ed escludeva la colpa se chi si è difeso lo ha fatto in stato di «grave turbamento psichico» causato dal malvivente; adesso il termine «grave» scompare e il testo si limita a indicare un non meglio specificato «turbamento psichico».

All’atto pratico cambia poco o niente. Perché restano immutati l’articolo 52 del codice penale, che oggi regola la materia e stabilisce che «la difesa sia proporzionata all’offesa», e l’articolo 55, che prevede l’«eccesso colposo». E perché l’aggredito che avrà travalicato il limite di proporzionalità e invocherà il «turbamento psichico» come giustificazione dovrà provare di essere stato turbato, nel caso in cui la pubblica accusa o il giudice glielo contestino. Non molto diversamente da come avviene adesso, con l’ordinamento attuale che costringe l’imputato accusato di avere reagito in modo sproporzionato a provare di averlo fatto per difendere la propria incolumità o quella dei suoi cari.

In ogni caso, i tempi non saranno rapidi. In commissione Giustizia non sono ancora stati votati gli emendamenti: il governo ieri ha chiesto tempo per riflettere e oggi si capirà cosa vogliono fare davvero l’esecutivo e la maggioranza, che sul tema continuano non trovare un accordo al proprio interno - lo stesso Pd è spaccato. È probabile che l’approdo in aula slitti a maggio, dopo che a Montecitorio sarà stata esaminata la legge sul testamento biologico (altra grande incompiuta dell’attuale legislatura). In questo caso dovranno fare presto, perché dopo la pausa estiva a farla da padrone nei lavori parlamentari saranno i provvedimenti economici. Non c’è alcuna certezza, insomma, che la nuova normativa sulla legittima difesa veda la luce in questa legislatura.

Nel migliore dei casi il confronto parlamentare che va avanti da anni si avvia così a partorire una legge che, in buona sostanza, lascia sempre al criminale la facoltà di scegliere il livello di violenza che preferisce e obbliga chi si difende ad adeguarsi. È l’effetto perverso del criterio di proporzionalità: l’aggressore stabilisce le “regole d’ingaggio”, mentre la vittima che è costretta a difendersi può accettarle o violarle, ma in questo secondo caso lo fa a proprio rischio e pericolo, sapendo che sarà chiamata a risponderne anche se ha agito tra le mura di casa o nel proprio negozio. La difesa poteva essere illegittima prima e continuerà ad esserlo con le nuove regole, se mai arriveranno.

 Italia

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