Gli ex Pci sono ossessionati dalle costole della sinistra. Adesso le trovano in Grillo
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Bersani si è detto disposto a fare un altro incontro in pubblico con esponenti del M5s per offrire loro di collaborare con il suo microscopico partito, il Dp
di Pierluigi Magnaschi da ItaliaOggi.it 23.3.2017
Nel suo discorso ai secessionisti di Campobasso, Pier Luigi Bersani non ha riproposto le «mucche nel corridoio», i «tacchini sul tetto» e nemmeno i «giaguari da smacchiare». Certo, si è ripetuto anche questa volta. Ma in un altro campo. E con esiti peggiori. Bersani resta nostalgico del per lui catastrofico dibattito in streaming con i capigruppo (pro tempore; delle vere meteore) M5s alla Camera e al Senato, e cioè Roberta Lombardi e Vito Crimi. Per questo si è detto disposto a fare un altro incontro in pubblico con esponenti del M5s per offrire loro di collaborare con il suo microscopico partito, il Dp.
Insomma, Bersani è affetto da coazione a ripetere su fondo indubitabilmente masochista. Infatti quello spericolato incontro in streaming del 23 marzo 2013, al quale Bersani ha partecipato assieme a uno stranito Enrico Letta (che sembrava domandarsi «che ci faccio qui?»), fu la sua Waterloo politica: iniziò quell'incontro che era segretario del Pd e contemporaneamente premier incaricato, e ne uscì come uno straccio. Impresentabile.
Bersani infatti era caduto a piedi pari nel sofisticato trabocchetto preparatogli da Beppe Grillo, un personaggio che ha molti difetti ma che conosce come pochi le tecniche di comunicazione di massa. E infatti se ne conoscono i risultati elettorali che sono impermeabili ai tanti pasticci che l'M5s sta combinando ad ogni livello.
Grillo infatti, tanto per cominciare, non partecipò al passato incontro con Bersani ma gli mandò due suoi portaborse che erano sconosciuti allora e sono rimasti sconosciuti in seguito. Fosse stato un incontro riservato, interlocutorio, la sberla mediatico-politica sarebbe stata contenuta. Ma, essendo avvenuto in diretta, sotto gli occhi dell'intera opinione pubblica italiana, si è assistito al sacrificio del leader del maggior partito politico italiano (di allora) che si piegava a discutere con dei personaggini di seconda fila. Sarebbe come se il Maradona dei bei tempi fosse andato a gareggiare con il Borgorosso Football Club. Maradona si sarebbe declassato, ma almeno avrebbe fatto vedere a quei tapini dei suoi avversari come si gioca al calcio. Invece, in questo caso, Bersani è stato anche sconfitto dai suoi interlocutori che erano dei Signor Nessuno e hanno stesso al suolo il Signor Tutto, dal punto di vista politico.
Come mai allora Bersani insiste nello stesso schema di gioco che oggi è diventato, per lui, ancor più difficile, visto che, nell'andata, si era confrontato con Lombardi e Crimi dall'alto del suo 30% di voti, mentre adesso siede sullo sgangherato strapuntino del 3%. Se Bersani venne polverizzato allora, adesso finirebbe in cipria. Via streaming, addirittura, come accetterebbe anche adesso. La scelta di questo schema rovinoso di confronto è dovuto al fatto che Bersani (come anche D'Alema, del resto) non è mai uscito dalla schema della Prima repubblica, nel quale era il Pci a dare le carte anche se, formalmente, si trovava all'opposizione.
Questo schema, a ben vedere, Bersani l'aveva già utilizzato quando, in vista del suo insediamento come premier, aveva concesso, con i voti determinanti del suo partito, la vicepresidenza della Camera al grillino Luigi Di Maio, un giovane privo di esperienza e che aveva come titolo quello di aver fatto lo steward allo stadio di Napoli, e il ruolo strategico di questore del Senato alla M5s Laura Bottici, anch'essa politicamente implume. Bersani credeva (in base alla collaudata ritualità della Prima repubblica basata sul principio «dell' io do una cosa a te e tu dai una cosa a me») che facendo quelle concessioni avrebbe subito ottenuto in risposta il sostegno dei voti dell'M5s per il suo insediamento a Palazzo Chigi. Grillo invece gli fece subito capire che lui avrebbe accettato i voti degli altri per raggiungere suoi scopi, mentre per nessun motivo avrebbe mai messo a disposizione degli altri i suoi voti.
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Come mai, allora, Bersani insiste nel perdere?Perché la sua è una cultura gramsciana. Basata sulla circostanza che il Pci, allora fortissimo partito di opposizione, egemone nella società civile, nei media, nel mondo intellettuale e istituzionale, poteva, per estendere la sua occupazione della società, fare concessioni o anche ponti d'oro agli avversari che, pur di ricevere il vantaggio, erano disposti a recitare la loro sudditanza che poteva anche essere dignitosa.
Il M5s invece ha sparigliato completamente il gioco, facendo saltare tutti i birilli della vecchia cultura consociativa comunista-democristiana. Di un tempo cioè in cui essere considerati una costola del partito egemone (il Pci d'allora) poteva essere considerato un complimento, una gratificazione, una crescita, una promozione. Mentre adesso, per il M5s, una valutazione del genere viene considerata un'offesa.
Ecco dimostrato perché il pensionamento politico di Bersani non dipende da Renzi ma da se stesso. Dalla sua incapacità di capire i tempi attuali e di reagire ad essi, vincendo l'imprinting nel quale è cresciuto e che gli viene automatico esercitare con risultati disastrosi. Per lui e per il suo partito. Gli elettori Pd hanno capito che Bersani è prigioniero del suo tempo indubitabilmente passato, un tempo che non torna più. Lo applaudivano, magari, ma non volevano più, anche prima della scissione, essere guidati da lui. Immaginarsi adesso.