Migranti, il prezzo esorbitante dei rimpatri all'italiana

Le espulsioni hanno sfiorato i 100 mln di spesa in un biennio. Nel 2016, 995 sono avvenute su voli di linea. E le restanti su 116 charter. Che costano in media 220 mila euro. Spesso tutti a carico del nostro Paese.

LORENZO BAGNOLI MATTEO CIVILLINI, LETTERA43, 21.3.2017

La macchina dei rimpatri forzati negli ultimi due anni è costata all’Italia poco meno di 100 milioni di euro.

La stima al ribasso parte dalla spesa certa comunicata dal Viminale nel Rendiconto generale di Stato del 2015. L’anno successivo i rimpatri sono aumentati e con loro anche la spesa sostenuta. Risultato di tanti investimenti? Circa 5 mila irregolari in meno, su 485 mila stimati dall’Ismu, Istituto per lo studio della multietnicità.

RIMPATRI PRIMA DELLA RICHIESTA D'ASILO. «Abbiamo riscontrato diversi casi in cui stavano per essere rimpatriate persone che non avevano avuto ancora l’opportunità di fare richiesta di asilo o che ancora avevano la loro domanda in fase di valutazione», dicono i funzionari del Garante dei detenuti che, a campione, monitorano che nelle operazioni di rimpatrio siano garantiti i diritti dei migranti. Per essere divulgati, i rapporti del Garante sui voli monitorati devono avere il via libera dal Viminale. Sono più di sei mesi che sono secretati. Nonostante numeri e fatti indichino che la strada intrapresa è disastrosa, alla Commissione europea si insiste che quella è l’unica via da percorrere.

«CE LO CHIEDE L’EUROPA». Sforzi economici enormi e voli ad altissima frequenza (quasi giornaliera) non bastano: per Bruxelles si può fare di più. L’invito risuona sia dalle istituzioni (l’ultimo è arrivato dal Commissario Dimitri Avramopoulos nella sua visita a Roma), sia da organizzazioni internazionali come il Consiglio d’Europa, che al contempo, però, hanno criticato l’impostazione del sistema d’accoglienza italiano, incapace di gestire la situazione attuale. Aumentare i rimpatri è una prerogativa: la Guardia costiera e di frontiera europea (Ebcg), la vecchia agenzia Frontex, dal 7 gennaio ha costituito task force per velocizzare i rimpatri. E da dicembre ha assunto nuovo personale (50 unità) anche per questo scopo.

Nel caso di operazioni di rimpatrio congiunte, il costo del volo è condiviso tra più Paesi. E per l’Italia il prezzo medio è di 42.500 euro, poi restituiti da Frontex

I dati del ministero indicano che l’anno scorso i rimpatri forzati via aerea hanno riguardato 2.899 persone. Per 995 di loro il ritorno al Paese di origine è avvenuto su un volo di linea. Marocco, Albania, Senegal, Romania e Georgia le destinazioni principali. Le compagnie aeree, però, ospitano malvolentieri i migranti sui propri voli commerciali e, così, spesso si deve ricorrere ai charter. Qui per il Viminale si aprono due strade: organizzare un servizio autonomo o associarsi ad altri Paesi europei con il coordinamento dell'Ebcg. Nel 2016 sono stati 116 i voli charter o dedicati partiti dall’Italia - di cui 25 operati insieme all’agenzia comunitaria - con un totale di 1.944 persone a bordo. Più della metà hanno avuto come destinazione l’Egitto, seguito da Tunisia, Nigeria e Sudan. Tutti Paesi con cui Roma ha stretto accordi di riammissione, nonostante i dubbi sulle garanzie per la protezione dei diritti umani sollevati da associazioni di settore.

TRE COMPAGNIE AEREE SU TUTTE. Per organizzare un volo di rimpatrio il ministero deve avviare una macchina complessa. Si parte con il noleggio dall’aeromobile dalle aziende di trasporto - Egyptair, Blue Panorama e Mistral Air, compagnia di Poste Italiane, le più gettonate. Poi bisogna predisporre l’imponente servizio di scorta che segue ogni fase del trasporto. In media, per ogni straniero rimpatriato vengono inviati almeno tre poliziotti. È inevitabile che, alla fine, i costi di un volo charter schizzino alle stelle. Più basso il costo per i voli di linea. In quel caso si paga solo il prezzo per il biglietto del rimpatriato e della sua scorta. Ma tante compagnie si rifiutano di far viaggiare i loro passeggeri insieme alla polizia e ai migranti da rimpatriare.

220 MILA EURO A VOLO CHARTER. Il ministero dell’Interno si è rifiutato di fornire informazioni dettagliate sulle spese per le operazioni di rimpatrio. Ma, grazie ai dati ottenuti da Frontex, è stato possibile arrivare a una stima che si avvicina molto a quanto spende l’Italia per ogni volo di rimpatrio. Dai calcoli di Lettera43.it, risulta che il costo medio di un charter si aggiri tra i 210 e i 220 mila euro. Nel caso in cui l’operazione di rimpatrio sia congiunta, il costo del singolo volo è condiviso tra più Paesi. E per l’Italia il prezzo medio risulta essere di circa 42.500 euro, poi restituiti da Frontex. Nel caso di operazioni solo italiane i 220 mila euro sono solo a carico del nostro Erario. E nessuno risarcisce. Ma nei casi limite si può andare ben oltre.

Egyptair, Blue Panorama e Mistral Air sono le compagnie più utilizzate per i rimpatri.

Il 14 luglio scorso 15 cittadini nigeriani sono stati imbarcati a Roma su un volo diretto a Lagos. Per il solo noleggio del velivolo, Frontex ha sborsato oltre 185 mila euro - ovvero circa 12 mila euro a testa, pari a 20 volte il prezzo di un normale biglietto sulla stessa tratta. Il budget dell’agenzia europea è stornato dalle casse dell’Ue, a cui partecipano i contribuenti di tutti i 28 Paesi membri. In agosto, a seguito dell’accordo con la Polizia sudanese, 40 migranti fermi a Ventimiglia sono stati riportati a Khartoum. «Non è stata loro data la possibilità di fare domanda di asilo in Italia», accusa Dario Belluccio, avvocato socio di Asgi (Associazione studi giuridici per l’immigrazione) che ha seguito il caso.

L'UE HA STANZIATO 43,7 MILIONI. In Sudan, su quel volo di linea della compagnia Egyptair, dovevano esserci altre otto persone. «Per qualcuno non c’era posto, qualcun altro ha opposto resistenza. Così sono scesi», continua il legale. Tutti e otto hanno ottenuto l’asilo politico, in quanto in patria rischiavano la vita. A fornire parte dei fondi è l’Unione europea che, nell’agosto 2015, ha approvato il programma Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020, prevedendo uno stanziamento di 43,7 milioni di euro. Cifra alla quale vanno ad aggiungersi gli ulteriori 19 milioni di euro messi a bilancio dal ministro dell’Interno Marco Minniti con il decreto legge sui migranti approvato il 10 febbraio.

I PAESI D'ORIGINE NON COLLABORANO. Secondo Maurizio Ambrosini, professore di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano ed esperto in migrazioni, i rimpatri forzati sono «un argomento da ‘bar sport’ caro alla politica», ma complicato e scarsamente praticabile. «Oltre al costo enorme, un problema serio è la mancanza di collaborazione dei Paesi di origine; molti non accettano di riprendersi i propri cittadini», dice Ambrosini. «Mandare indietro chi ha fatto richiesta di asilo, inoltre, è molto pericoloso perché c’è il rischio di esporli a ritorsioni. Ci sono Paesi in cui aver presentato domanda di protezione in un Paese terzo è un attacco all’immagine nazionale, se non un vero e proprio reato».

Oggi l’iter della richiesta di asilo e il processo di integrazione nel Paese sono due percorsi che rischiano di contrapporsi, vanificandosi l’un l’altro

MAURIZIO AMBROSINI, PROFESSORE DI SOCIOLOGIA

Per Ambrosini sarebbe più saggio proporre altre soluzioni per controllare il flusso dei migranti. Innanzitutto, puntare sui rimpatri assistiti, invece di quelli forzati, ma solo quando «la stabilità del Paese di origine e un adeguato programma di reinserimento permettano alla persona di tornare a vivere in un modo sensato». Un processo, però, per nulla agevole quando si ha a che fare con nazioni dai governi poco democratici ed economie fragili.

«SERVONO PERMESSI PER PROTEZIONE UMANITARIA». «Altrimenti si dovrebbero concedere i permessi per protezione umanitaria, un tipo di asilo più flessibile che tiene conto di tutto il percorso del richiedente», aggiunge il professore. «Se hai seguito corsi di formazione, ti sei impegnato in attività socialmente utili e, magari, hai anche lavorato in un’azienda, è giusto che ti venga dato il permesso. Oggi l’iter della richiesta di asilo e il processo di integrazione nel Paese sono due percorsi che rischiano di contrapporsi, vanificandosi l’un l’altro».

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