Perché non si dovrebbe imitare il Tribunale del lavoro di Milano?

Il Tribunale del lavoro di Milano, a parità di cause con Napoli e Roma, e pur avendo solo 22 giudici contro i 63 della Capitale e i 54 del capoluogo campano, registra una durata media delle cause di lavoro di 144 giorni, contro una media nazionale di 1.007

 di Sergio Luciano Italia Oggi 16.12.2016

Il Tribunale del lavoro di Milano, a parità di cause con Napoli e Roma, e pur avendo solo 22 giudici contro i 63 della Capitale e i 54 del capoluogo campano, registra una durata media delle cause di lavoro di 144 giorni, contro una media nazionale di 1.007. Secondo il Corriere della Sera, che ne ha parlato di recente, la squadra guidata dal presidente della sezione Pietro Martello ha per di più smaltito le cause pendenti. Tanto che molti (lavoratori e imprese) pur non residenti sfruttano le pieghe della legge che in certi casi lo consentono e intentano causa a Milano pur lavorando altrove: non che sperino di vincere, la scelta della piazza milanese è egualmente preferita da datori di lavoro e lavoratori, ma contano almeno sulla celerità del verdetto, proprio quel che manca di solito altrove.

Sono dati sorprendenti, un'eccellenza in mezzo al disastro.Ebbene, nella riforma Madia della Pubblica amministrazione, peraltro impallinata dal Consiglio di stato, non è prevista alcuna norma che obblighi, in ogni ambito, le amministrazioni più lente e meno performanti a uniformare metodi e prestazioni a quelle delle strutture confrontabili più capaci. Il pubblico impiego italiano è come un gruppo di studenti in cui nessuno apprezza, e tantomeno emula, il primo della classe.

Se non fossimo un Paese ormai moralmente e civicamente decotto, ci sarebbe da prendere il «modello Milano» e imporlo a tutta Italia. E chi non fosse in grado di adeguarsi, sia pure entro un determinato lasso di tempo, dovrebbe essere severissimamente punito, penalizzato. E non soltanto in campo giudiziario: in Lombardia e Veneto la sanità è gestita in modo tale che se tutte le altre regioni ne imitassero i metodi, il Paese risparmierebbe 30 miliardi, e attenzione: sono le due regioni leader della sanità, cioè non sacrificano la qualità della prestazione sull'altare della quantità e del celere smaltimento delle pratiche...

Altro che titolo V della Costituzione mal riscritto dalla defunta riforma istituzionale: è l'Italia che non sa adeguarsi al meglio e sbraca sul peggio. Purtroppo niente ci autorizza a credere che si sia vicini a questa prospettiva. Lo stesso criterio dei «costi standard», che pure sarebbe in vigore, è applicato nel modo peggiore: anziché imporre a tutti di adeguarsi ai prezzi più convenienti, gli enti locali scialacquatori possono limitarsi a ridurre i propri costi attestandosi a un livello medio tra essi e quelli ottimali del sistema. Come se a Pierino, che prende sempre tre, anziché dirgli di studiare per prendere dieci anche lui, gli si dicesse che può accontentarsi di salire al 4. Una vergogna.

Categoria Italia

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