Renzi, dimissioni studiate per “rimettersi in cammino” verso le elezioni. Le ipotesi per il futuro
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Nel discorso della sconfitta il leader ha ritrovato un tocco umano che aveva perduto. Nuovo governo: in pole Padoan e Grasso
Pubblicato il 05/12/2016 FABIO MARTINI ROMA La Stampa
Il corposo voto di “sfiducia” degli italiani lo ha spinto fuori da palazzo Chigi e ora il piano di Matteo Renzi è quello di trasformare la sconfitta al referendum nella sua vittoria alla prossime elezioni Politiche. Certo, non sarà facile, ma il progetto è lineare: anzitutto indicare al Capo dello Stato il candidato più gradito per palazzo Chigi e subito dopo, fatto il nuovo governo, Renzi intende «rimettersi in cammino», come ha detto ieri sera nel suo commosso commiato, Questo significa restare alla guida del Pd, provare ad anticipare il congresso, vincere le Primarie e proiettarsi verso le prossime elezioni come leader del Pd. Certo, non sarà una passeggiata, ora nel Pd il boccino passa al nuovo “centro”, formato dagli ex Ppi di Dario Franceschini e gli ex Ds di Andrea Orlando, Maurizio Martina, Matteo Orfini. Proveranno a spodestare il segretario?
Operazione non semplice quella di Renzi, ma proprio a questo tragitto prelude l’uscita da “statista” del premier: mollando senza indugio la sua poltrona, il segretario del Pd intende ricostruirsi una sua “verginità”. Esattamente come fece nel 2012, quando fu sconfitto da Pier Luigi Bersani alle Primarie del Partito democratico. E proprio sul discorso di “accettazione della sconfitta”, Renzi costruì la sua rivincita alle Primarie poi vinte contro Gianni Cuperlo. Ecco, perché ieri notte Renzi ha risparmiato qualsiasi recriminazione nei confronti dei suoi avversari, a cominciare dai suoi compagni di partito.
E alla costruzione del “nuovo” Renzi può contribuire anche quel frammento di commozione che il premier uscente ha manifestato, mentre ringraziava e salutava moglie e figli. Commozione sicuramente autentica, ma che colma uno dei deficit di immagine di Matteo Renzi, leader senza anima, che in questi mesi ha provato ad affettare emozione in circostanze drammatiche. Ma senza mai riuscire a restituire l’immagine di leader “umano”, come invece gli suggerivano i suoi consiglieri.
Matteo Renzi questo pomeriggio si dimetterà e probabilmente indicherà al Capo dello Stato le preferenze sue e del Pd per il prossimo inquilino di palazzo Chigi. Quando Renzi vedrà Mattarella, i mercati si saranno già espressi e in caso di reazione molto “aggressiva” e speculativa, la bilancia potrebbe pendere verso un governo affidato alla guida del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Ma senza terremoti finanziari, il favorito resta il presidente del Senato Pietro Grasso, soluzione “naturale” in quanto seconda carica dello Stato.
Un’altra incognita riguarda la squadra di governo. Un esecutivo-fotocopia verrebbe vissuto da Renzi come un affronto: ecco perché è possibile che si vada verso qualche ricambio: Dario Franceschini potrebbe assumere il decisivo dicastero delle Riforme, mentre un avvicendamento potrebbe investire il ministero dell’Interno e dell’Università.
Certo, ad un addio così brusco, Matteo Renzi non aveva mai voluto credere. Ma quando la sconfitta è diventata batosta, a mezzanotte e un quarto del 5 dicembre, si presentato davanti alle telecamere, con la moglie Agnese a pochi passi e lui - sempre così granitico - si è commosso, la voce si è incrinata quando ha dovuto annunciare l’addio. E, per una volta leggendo dagli appunti che aveva preparato nelle ore precedenti, Matteo Renzi si è congedato da statista: «Si può perdere un referendum, ma non si perde il buon umore. Io ho perso e lo dico a voce alta, nella politica italiana non perde mai nessuno, andiamo via senza rimorsi». E ha annunciato che oggi pomeriggio sarà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. E ha fatto capire di restare in politica: «Questi mille giorni sono volati, ora per me è tempo di rimettersi in cammino».
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