Cosa insegna la sentenza ( e una ragione per votare SI)
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della Corte costituzionale sulla riforma Renzi-Madia. Piccola storia di come funziona oggi il nostro Paese, che vale la pena raccontare (e per chi ha pazienza di leggere).
Patrizio Caligiuri Formiche,net 27.11.2016
Il commento di Patrizio Caligiuri, Capo segreteria tecnica e organizzativa del ministero per la Semplificazione e la Pubblicazione amministrazione
Un bel giorno un governo decide di riformare un settore importante del Paese e per farlo usa lo strumento della legge delega. La legge, dopo 12 mesi circa, dopo i passaggi di Camera e Senato, dopo molti emendamenti, dopo il recepimento dei pareri del Consiglio di Stato, di comuni e delle regioni (conferenza unificata), ottiene finalmente il via libera.
A quel punto il governo deve emanare i cosiddetti decreti attuativi affinché i cittadini possano vedere la legge produrre i suoi effetti. Cosa accade a 4 (su 18) di questi decreti attuativi?
Vediamo. Come per tutti gli altri decreti, il governo scrive il testo che, anche in questo caso, deve andare di nuovo sia alla Camera che al Senato (alle commissioni competenti), al Consiglio di Stato e al parere di comuni e delle regioni (sempre in conferenza unificata). Il governo recepisce, di nuovo, tutti i pareri di Camera e Senato, del Consiglio di Stato e gran parte di quelli di comuni e regioni. Sembra finalmente fatta, i decreti possono diventare legge ed essere applicati.
Invece no. Colpo di scena.
Una delle regioni nel frattempo aveva fatto ricorso alla corte costituzionale per lesione della propria sfera di competenza.
E cosa decide la Consulta?
Con una sentenza “evolutiva” (cioè cambia idea rispetto a prima) statuisce che non basta che il governo abbia aderito ai pareri del parlamento, del Consiglio di Stato e di regioni e comuni: occorre un vero e proprio accordo con tutte le regioni. E qui viene il bello perché le regioni non decidono a maggioranza se fare o meno l’accordo, ma serve unanimità. Quindi se una sola regione è contraria niente accordo. Non conta la volontà del Governo, né l’ok di Camera e Senato, né quello del Consiglio di Stato e nemmeno l’ok di chi rappresenta ottomila comuni e l’ok di 19 regioni. Se una regione è contraria salta tutto e la legge non si fa. Dopo due anni, abbiamo scherzato.
Così funziona oggi il nostro assetto istituzionale. Questi sono alcuni degli effetti (e costi) del bicameralismo perfetto e del riparto di competenze tra Stato e regioni.
Proprio sicuri di volercelo tenere così? Sicuri che non serva cambiare? Perché quando i contrappesi diventano molto più dei pesi, il risultato è la paralisi.
Patrizio Caligiuri (Capo segreteria tecnica e organizzativa del ministero per la Semplificazione e la Pubblicazione amministrazione)
27/11/2016