La verità di Berlusconi sul No a Renzi
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“Se non si fosse rotto il patto del Nazareno oggi il centrodestra sarebbe a sostegno della riforma. Se vince il No? Legge elettorale e poi il voto. Renzi? Come Balotelli. L’Euro? Tifo per la doppia moneta”. Intervista al Cav.
di Claudio Cerasa 1 Dicembre 2016 alle 06:00
Mancano tre giorni al voto sul referendum costituzionale e nonostante il tentativo di questo giornale – e dei nostri lettori – di fargli cambiare idea, nulla, niente Berlusconi proprio non ne vuole sapere e il 4 dicembre voterà No alla riforma sulla Costituzione.
Ieri abbiamo provato a contattare al telefono l’ex presidente del Consiglio e abbiamo raccolto un paio di risposte rapide ad alcune domande che questo giornale si è posto negli ultimi tempi per provare a mettere a fuoco le ragioni della scelta non del tutto lineare del centrodestra di votare No il 4 dicembre. Partiamo da qui, da un bellissimo discorso del 1995 di Silvio Berlusconi che il Foglio ha ripubblicato qualche giorno fa. Presidente, ci scusi: lei, in quel discorso, diceva che compito di Forza Italia era combattere contro “un’Italia dei partiti, fondata sul sistema elettorale proporzionale e sulla dottrina non scritta del consociativismo, che si permetteva il lusso di immaginare un futuro che però non doveva arrivare mai”. Oggi ha scelto però di essere dalla parte del sistema elettorale proporzionale. Non si sente in contraddizione con il Berlusconi del 1995? “Prima di tutto ringrazio il Foglio per aver ripubblicato quel discorso. Lo cito spesso e con orgoglio, perché dimostra la coerenza del nostro impegno per le riforme. Per riforme vere, non per la padronale riforma di Renzi, cucita su misura sugli interessi suoi e del Pd. Delle riforme che chiedevo in quel discorso, a cominciare dall’elezione diretta del capo dell’esecutivo, non c’è traccia nel progetto di cui stiamo discutendo. In compenso c’è la garanzia per il Pd di avere il controllo del Senato, comunque vadano le elezioni, grazie al fatto che i senatori non sono più eletti, ma nominati dalle regioni, 17 su 20 delle quali sono in mano alla sinistra”.
Rispetto a quel discorso c’è però una svolta oggettiva: ventuno anni fa il suo centrodestra era un alfiere del maggioritario oggi è diventato un alfiere del proporzionale. Ci spiega concretamente a che legge elettorale lei si augura di arrivare dopo il referendum costituzionale? “Vede, direttore, quanto ai sistemi elettorali non sono dogmi, in circostanze diverse possono essere appropriati metodi diversi. Nel 1995 l’Italia era bipolare, quindi un premio di maggioranza assicurava una maggiore stabilità parlamentare a chi avesse il consenso vero della maggioranza degli elettori. Quando il sistema non è più bipolare, invece, i sistemi maggioritari producono distorsioni più o meno gravi. Già nel 1996, quando la Lega nord andò alle elezioni separata da noi, e quindi si crearono tre poli, vinse la sinistra di Prodi nonostante i nostri voti sommati a quelli della Lega fossero molto superiori. Oggi la politica italiana è diventata tripolare, si potrebbe vincere le elezioni con il 30 per cento dei voti validi, il che significa il 15 per cento degli elettori, visto che metà degli italiani non va più a votare. Non è più democrazia un sistema nel quale il 15 per cento degli elettori decide, contro il rimanente 85 per cento. Solo il proporzionale darà agli italiani il diritto di scegliere davvero”.
Presidente, piccola provocazione.Qualche giorno fa si è fatto scappare una frase mica male. Ha detto, testualmente, che in Italia “non c’è un mio erede; l’unico leader in politica ora è Renzi”. Quali sono le caratteristiche di un leader oggi in politica? E, glielo chiediamo con tono leggero, se dovesse sintetizzare con un paragone calcistico le leadership di Renzi, Salvini, Alfano e Di Maio, a chi penserebbe? “Guardi, direttore, sto al gioco volentieri. Renzi, potrebbe essere Balotelli: istrione, brillante, una grande promessa che non si è mai concretizzata. Salvini mi ricorda un giocatore del passato, Romeo Benetti, grande calciatore, ma un po’ troppo rude nei contrasti. Alfano mi richiama alla mente Aldo Serena, un buon giocatore, di grande mestiere che ha cambiato tutte le squadre possibili (Milan, Inter, Juve, Torino). I grillini in generale mi fanno pensare un po’ a Gascoigne. Talento ma tanta confusione e sregolatezza, che ne annullano il valore. Venendo alle cose serie – dice Berlusconi con un sorriso – Renzi è considerato l’unico leader della sinistra anche perché al leader del centrodestra è stato impedito di candidarsi, ed è stato addirittura espulso dal Parlamento, prima con una sentenza assurda, che spero la Corte di Strasburgo esamini prestissimo perché sono assolutamente certo che non potrà che cancellarla, restituendomi i miei diritti politici, e poi con un voto del Senato al di fuori del regolamento e della prassi parlamentare”. Pausa, Berlusconi riprende.
Riprende Berlusconi: “Vede. Renzi sa cogliere il momento, ha la necessaria cattiveria, ha molto mestiere in politica. Ma proprio questo è anche il suo limite. Per quanto si voglia dimostrare innovativo, è un politico di professione e ha tutti i difetti della vecchia politica, intesa come esercizio del potere e non come servizio alla collettività. Io posso vantarmi di non aver mai fatto parte di questa categoria, di aver continuato a parlare il linguaggio della gente comune, e di continuare a pensare come un cittadino, non come un politico. Credo che un leader oggi dovrebbe essere capace di questo. La vittoria di Trump, comunque la si valuti, dimostra questo”.
La provochiamo ancora presidente. Ci avrà fatto caso anche lei. Dalla Fiom alla Cgil passando per Magistratura democratica e i partigiani della Costituzione fino al mondo di Zagrebelsky e a quello di Asor Rosa: tutti i nemici di Berlusconi oggi sono i nemici di Renzi. Molti vecchi alleati di Berlusconi oggi sono alleati di Renzi. In Europa, come se non bastasse, i massimi vertici del Partito popolare sostengono la riforma costituzionale del governo italiano. Anche per questo, la posizione di Forza Italia appare a molti contro natura. Possiamo dire che se nel 2015 non si fosse rotto il patto del Nazareno oggi il centrodestra sarebbe a sostegno della riforma costituzionale? “Possiamo dirlo, certamente, perché il patto del Nazareno non si sarebbe rotto se la riforma costituzionale fosse stata del tutto diversa da questa. Noi avevamo fatto quel patto – non scritto, ma molto preciso – perché ritenevamo che il Pd fosse finalmente disponibile a un percorso di riforme condiviso nell’interesse degli italiani. Quando abbiamo capito che si trattava soltanto di un abito cucito su misura degli interessi del Pd e di Renzi, ci siamo tirati indietro. Questo non significa, ovviamente, che noi abbiamo fatto un’alleanza politica con la Fiom o con Magistratura democratica. Noi questa Costituzione la vogliamo cambiare davvero, per migliorarla, e per fare questo è necessario sgombrare il campo da una cattiva riforma, che invece la peggiora”.
Presidente, un’ultima questione, più laterale rispetto al referendum ma altrettanto cruciale. Come sa, tra i temi che interessano maggiormente gli osservatori internazionali relativamente al post referendum ce ne sono due piuttosto centrali: il destino della legislatura e il futuro dell’euro. Primo punto: se dovesse vincere il No, Forza Italia è disponibile solo a discutere di legge elettorale o a certe condizioni potrebbe valutare l’allargamento della maggioranza di governo? “Dopo il referendum ci sono le elezioni, con una legge elettorale diversa, dopo tre governi non scelti dagli elettori. L’ultima volta che gli italiani hanno deciso da chi essere governati è stato nel 2008, quando è nato il nostro governo”.
E rispetto al futuro dell’euro, invece, pensa anche lei come Beppe Grillo che a prescindere da quale sarà il destino del referendum “prepararsi all’uscita dell’euro è un atto di responsabilità politica?”. “Sull’euro io credo che sia un progetto nato male e che non ha fatto bene né all’Italia né all’Europa. Tuttavia non auspico affatto che l’Italia ne esca, a questo punto sarebbe un ulteriore fallimento. Un fallimento dell’intero sogno europeo, che tuttavia è possibile, forse probabile, se l’Europa cambia profondamente e in fretta atteggiamento. Per quanto riguarda l’euro, ritengo piuttosto che sia realizzabile l’idea di diversi economisti, sulla doppia circolazione. Una moneta parallela (forse i meno giovani ricordano le AM-Lire, che circolavano in Italia nel dopoguerra) che ci restituisca in parte la sovranità monetaria, senza uscire dal circuito dell’euro”.
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