I Graffi di Damato. Cosa succederà fra Sergio Mattarella e Matteo Renzi dopo il referendum del 4 dicembre

La notizia sta piuttosto nel credito che ha dato a questa voce non Il Giornale, notoriamente ostile a Renzi, nonostante le pulsioni che ancora vengono attribuite a Berlusconi per un nuovo accordo

Francesco Damato  Formiche .net 29.11.2016

La notizia non sta nella voce,raccolta e lanciata con grande evidenza dal Giornale della famiglia Berlusconi, che Matteo Renzi voglia dimettersi anche nel caso in cui dovesse vincere il referendum di domenica sulla riforma costituzionale, ritenendo esaurito il suo mandato. E proiettandosi quindi verso elezioni anticipate per riscuotere subito quello che potremmo definire il dividendo. Una prospettiva, questa, che ha l’inconveniente non piccolo della resistenza, a dir poco, del presidente della Repubblica, che è l’unico a disporre del potere di sciogliere le Camere prima della loro scadenza e risulta a tutti, proprio a tutti, contrario ad un simile passaggio, almeno sino a quando non sarà sciolto il nodo della legge elettorale chiamata Italicum. Essa è notoriamente sottoposta all’esame della Corte Costituzionale, per non parlare dell’impegno a cambiarla assunto dallo stesso Renzi nel suo partito.

La notizia sta piuttosto nel creditoche ha dato a questa voce non Il Giornale, notoriamente ostile a Renzi, nonostante le pulsioni che ancora vengono attribuite a Berlusconi per un nuovo accordo con l’”unico leader su piazza”, come lui stesso ha definito il presidente del Consiglio, ma una cronista politica del Corriere della Sera generalmente e fondatamente considerata vicinissima al presidente del Consiglio e al suo giro: Maria Teresa Meli.

Si potrebbe quindi essere portati a considerare che c’è del vero in questa storia. Resta però da vedere se è una storia davvero -scusate la ripetizione- o è solo una mossa di Renzi nel finale di una campagna referendaria stracolma di tatticismo, attribuito ora allo stesso presidente del Consiglio, come la denuncia di un rischio di governo tecnico nel caso di una vittoria del No, ora ai suoi avversari, come la minaccia di ricorsi se dovessero risultare decisivi per una vittoria del Si i voti degli italiani all’estero, ora alla stampa economica britannica -fra il settimanale Economist e il quotidiano Financial Times- sospettata di soffiare sul fuoco dei mercati. E di moltiplicare i rischi di instabilità derivanti da una bocciatura della riforma costituzionale, sino ad aggravare la già difficile situazione di un bel po’ di banche italiane.

Ma in tal caso resterebbe da chiarirela ragione per la quale il già citato Economist, oltre ad auspicare il ricorso ad un governo tecnico, il cui fantasma potrebbe favorire Renzi, abbia duramente attaccato il presidente del Consiglio trattandolo come l’unfit Berlusconi di Palazzo Chigi. E’ stato un eccesso di tatticismo? Un semplice infortunio professionale, riparato con un numero speciale di fine anno dello stesso settimanale favorevole a Renzi? Magari sarà stato solo il segno più banale che all’Economist non riescono più a conciliare le idee dei loro giornalisti, che sembrano a questo punto già confuse di loro, con quelle degli azionisti, cioè dei proprietari del settimanale, fra i quali ci sono gli Agnelli e Sergio Marchionne, di tutto sospettabili fuorché di antirenzismo.

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A questo punto, per cercare di uscire dal polveroneche si è comunque depositato sul referendum, messo fortunatamente al sicuro almeno della sua scadenza di domenica prossima dalle decisioni prese in tutta fretta sia dalla Cassazione sia dalla Corte Costituzionale di liquidare ogni possibilità di riaprire la disputa sul cosiddetto spacchettamento del quesito, non resta che fare finalmente il conto alla rovescia dei pochi giorni che ci separano dalle urne. E sentirsi sollevati da qualunque risultato dovesse uscire fuori per affidarsi poi non più ai calcoli dei giocatori di questa maledetta partita ma al buon senso del presidente della Repubblica.

A questo proposito Sergio Mattarella ha fatto non bene, ma benissimo a rivendicare, pur nel suo stile non certamente gladiatorio, tutte le sue competenze. Che non sono solo di arbitro, nel caso in cui dovesse fischiare un fallo o sciogliere il nodo di una crisi di governo, ma anche di consigliere, persuasore, moderatore.

Non è per niente detto che il presidente del Consiglio, nel caso per esempio di dimissioni a prescindere dal risultato del referendum, secondo la voce di cui si è già parlato, possa uscire dallo studio del capo dello Stato, al Quirinale, con le stesse idee dell’entrata.

Le idee, d’altronde, fanno presto a cambiare in politica, come ha appena confermato l’ormai solito Berlusconi, di cui a questo punto si può anche sospettare che lo faccia apposta o per nascondere quelle che davvero ha, se ne ha, o per divertirsi a spiazzare gli altri, quasi per sadismo.

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Stanco forse della scena occupata da Stefano Parisi, sia pure su suo incarico, l’ex presidente del Consiglio lo ha deposto perché non riusciva o non voleva andare d’accordo con Salvini, appena invitato peraltro dallo stesso Berlusconi, in una intervista al Corriere della Sera, a darsi una regolata e a non sentirsi il figlioccio italiano di Donald Trump, appena uscito vincente dalle elezioni presidenziali americane.

Stanco, nel giro di pochi giorni, del nuovo scenario prodotto dalla rimozione di Parisi, l’ex presidente del Consiglio è tornato a bacchettare Salvini annunciando la propria intenzione di restare saldamente al comando del pur ex centrodestra, sino a ricandidarsi a presidente del Consiglio, scommettendo sulla tempestività, sinora mancata, della Corte europea di Strasburgo. Alla quale egli si è rivolto per vedersi restituire la piena agibilità elettorale negatagli da inconvenienti giudiziari.

Stanco, o deluso, non so, delle reazioni di Salvini, della sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e persino del proprio consigliere politico e governatore della Liguria Giovanni Toti, più o meno smaniosi di ricorrere alle primarie per scegliere il capo di una nuova coalizione di centrodestra, un Berlusconi visibilmente insofferente, sino a minacciare di lasciare in diretta lo studio televisivo di cui era ospite, ha annunciato a Bianca Berlinguer, e al pubblico di Rai 3, che deciderà solo dopo il referendum se continuerà o no a fare politica, e in che veste. Eppure la povera Barbara D’Urso si era appena offerta a organizzare un bel pomeriggio domenicale su Canale 5 per farlo incontrare col “bellino” Renzi, e magari anche preparare una più fortunata riedizione del vecchio e naufragato “Patto del Nazareno”.

Categoria Italia

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