1-Tasse, Italia è quinta in Europa. In Francia la pressione fiscale più alta
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2- Boldrini, l'esercito dei privilegiati. Quanto i guadagnano i suoi 1.000 uomini
Affaritaliani, Libero 12.11.2016
1- Affaritaliani. Se l'Italia avesse la pressione fiscale allineata con il dato medio presente in Ue, ognicittadino pagherebbe 946 euro di tasse in meno all'anno. E' l'analisi dell'ufficio studi della Cgia di Mestre che ha comparato la pressione fiscale registrata l'anno scorso nei principali paesi europei e ha misurato il differenziale di tassazione esistente tra gli italiani e i contribuenti dei piu' importanti Paesi dell'Unione. L'Italia e' il quinto Paese in Ue per pressione fiscale alta. Dal confronto infatti emerge che la pressione fiscale piu' elevata si registra in Francia. A Parigi, il peso complessivo di imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali e' pari al 48 per cento del Pil. Seguono il Belgio con il 46,8 per cento, l'Austria con il 44,3 per cento, la Svezia con il 44 per cento e, al quinto posto, l'Italia.
L'anno scorso la pressione fiscale nel nostro Paese si e' attestata al 43,4 per cento del Pil. La media dei 28 Paesi che compongono l'Ue, invece, si e' stabilizzata al 39,9 per cento; 3,5 punti in meno che da noi.
Nella comparazione, l'Ufficio studi della Cgia ha deciso di calcolare anche i maggiori o minori versamenti che ognuno di noi "sconta" rispetto a quanto succede altrove. Ebbene, se la tassazione nel nostro Paese fosse in linea con la media europea, nel 2015 ogni italiano avrebbe risparmiato 946 euro. Effettuando il confronto con la Germania, invece, si evince come i tedeschi paghino al fisco mediamente 973 euro all'anno meno di noi, gli olandesi -1.513 euro, i portoghesi -1.756 euro, gli spagnoli -2.296 euro, i britannici -2.350 euro e gli irlandesi -5.133 euro. Per contro, gli svedesi pagano al fisco 162 euro all'anno in piu' rispetto a noi italiani, gli austriaci + 243 euro, i belgi +919 euro e i francesi +1.243 euro. "Sebbene la pressione fiscale sia leggermente in calo, per pagare meno tasse - dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia - e' necessario che il Governo sia piu' incisivo sul versante della spending review. Solo con tagli agli sprechi e alle inefficienze della macchina pubblica si possono trovare le risorse per ridurre il carico fiscale generale. La razionalizzazione della spesa pubblica, inoltre, dovra' proseguire molto in fretta. Entro la fine dell'anno prossimo, infatti, per evitare che dal primo gennaio 2018 scatti la clausola di salvaguardia che comportera' un forte aumento dell'Iva e delle accise sui carburanti, il Governo dovra' reperire ben 19,5 miliardi di euro". Dalla Cgia ricordano che il dato della pressione fiscale italiana relativa al 2015 non tiene conto dell'effetto del cosiddetto "Bonus Renzi". L'anno scorso, infatti, gli 80 euro "concessi" ai lavoratori dipendenti con retribuzioni medio-basse sono costati alle casse dello stato 9,6 miliardi di euro. Quest'ultimo importo e' stato contabilizzato nel bilancio della nostra amministrazione pubblica come spesa aggiuntiva. Pertanto, se si ricalcola la pressione fiscale considerando questi 9,6 miliardi di euro che praticamente sono un taglio delle tasse, anche se contabilmente vanno ad aumentare le uscite, la pressione fiscale scende al 42,8 per cento. In relazione a questa precisazione, la Cgia ha stilato anche una comparazione che tiene conto di questa specificita'. "Con troppe tasse e pochi servizi - segnala il segretario della Cgia Renato Mason - si deprimono i consumi e gli investimenti. Inoltre, diventa difficile fare impresa, creare lavoro e redistribuire ricchezza. Soprattutto per le piccole e piccolissime imprese che per loro natura non possono contare su strutture amministrative interne in grado di gestire le incombenze burocratiche, normative e fiscali che quotidianamente sono costrette a fronteggiare".
Nell'analisi della Cgia di Mestre analisi non manca la ricostruzione storica: negli ultimi 15 anni, purtroppo, il risultato fiscale emerso dalla comparazione con la media europea e' costantemente peggiorato. Se nel 2000 sui contribuenti italiani gravava una pressione fiscale pari a quella media presente in Ue, nel 2005 il carico fiscale per ciascun italiano era superiore del dato medio europeo di 127 euro. Il gap a nostro svantaggio e' addirittura salito a 895 euro nel 2010 e ha raggiunto, come dicevamo piu' sopra, i 946 euro nel 2015. Le cose, purtroppo, non vanno meglio nemmeno per le imprese. Il peso della tassazione sulle aziende italiane e' massimo in Ue quando calcoliamo la percentuale delle tasse pagate dagli imprenditori sul gettito fiscale totale: l'Italia si piazza al primo posto (14 per cento), sul secondo gradino del podio si posiziona l'Olanda (13,1 per cento) e sul terzo il Belgio (12,2 per cento). Tra i nostri principali competitor segnaliamo che la Germania registra l'11,8 per cento, la Spagna il 10,8 per cento, la Francia e il Regno Unito il 10,6 per cento. La media Ue, invece, e' dell'11,4 per cento. Al netto dei contributi previdenziali, in termini assoluti le nostre imprese versano ben 98 miliardi di euro all'anno (ultimo dato riferito al 2014).Tra i principali paesi Ue, conclude l'Ufficio studi della CgiA, solo le aziende tedesche e quelle francesi versano in termini assoluti piu' delle nostre, rispettivamente 131 e 103,6 miliardi di euro. Tuttavia, va ricordato che la Germania conta una popolazione di 80 milioni di abitanti, la Francia 66 e l'Italia "solo" 60.
2-Libero. Boldrini, l'esercito dei privilegiati. Quanto i guadagnano i suoi uomini
È più grave declinare al femminile un incarico o un titolo (sindaco/sindaca), o discriminare un lavoratore con un altro solo in base al datore di lavoro?
Libero, 12.11.2016
Ai piani alti di Montecitorio sembrano più sensibili al dito che alla luna. Battaglie, tante, per tutelare il genere; soluzioni (poche), per le più concrete discriminazioni quotidiane. Forse non è argomento che appassiona gli onorevoli e la presidenza della Camera dei deputati, però prima delle battaglie verbali bisognerebbe concentrarsi sul quelle concrete. E se proprio tanto si tiene alla parità di potrebbero riconoscere gli stessi diritti economici, sindacali e contrattuali a tutti i lavoratori. Tralasciando l' aspetto economico (anche se si potrebbe serenamente aprire un dibattito), sarebbe interessante conoscere il parere della presidente/presidentessa su trattamenti, privilegi e prerogative dei "suoi" mille dipendenti.
Lo sapevate, ad esempio, che i fortunati dipendenti di madame Boldrini hanno diritto ad un periodo di conservazione del posto di lavoro fino a 3 anni in caso di malattia rispetto ai 6 mesi dei dipendenti del settore privato. Se ad un povero cristo gli piomba addosso un tumore deve anche preoccuparsi di non superare il periodo massimo di assenza e magari è costretto a ripresentarsi in ufficio anche durante i trattamenti di chemio e radioterapia. E ancora: i dipedennti di Montecitorio possono serenamente assentarsi senza giustificato motivo dal posto di lavoro per 30 giorni. I comuni mortali del settore privato al massimo per 3/5 giorni. E che dire del "paracadute" anti licenziamento? Ai fortunati membri di questa casta dorata (con stipendi fino a 240mila euro l' anno, e prima del tetto Monti andava anche molto meglio), se non in rarissime situazioni gravissime era impossibile recapitare un licenziamento. E il Jobs Act a Montecitorio non è entrato né ora né mai. Mentre i comuni mortali devono tirare la carretta fin oltre i 67anni, lorsignori ancora oggi possono andare in pensione a 65 anni. Neppure la signora Elsa Fornero con la sua riforma è riuscita a scardinare l' autonomia amministrativa e funzionale di Camera e Senato.
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