La strada senza uscita di Bersani
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Con il No al referendum, l’ex segretario si avvicina più a Grillo che al Pd
di Redazione | 03 Novembre 2016 ore 19:56 Foglio
Con rara incoerenza, Pier Luigi Bersani, dopo aver votato per tre volte la riforma costituzionale, dopo aver dichiarato più volte che avrebbe appoggiato la riforma perché pensava che “correggere il bicameralismo sia un fatto importante, perché lì dentro ci sono alcune cose buone”, ha annunciato che voterà No.
Aveva detto che “nell’insieme, nella somma algebrica del più e del meno, è un passo avanti”, dopo aver sottolineato più volte che non avrebbe partecipato a iniziative per il No anche se le comprendeva. Nell’ultimo mese della campagna elettorale ha deciso di partecipare alle manifestazioni del fronte del No. L’effetto elettorale non sarà rilevante, visto che nelle organizzazioni di base del Pd anche quelli che avevano votato per Bersani sono impegnati nella campagna per il Sì in nome dell’interesse del partito, ma all’interno del partito stesso questa scelta diventerà lacerante. Anche in caso di una vittoria del No, che può portare a una crisi di governo, tra la maggioranza del Pd e la minoranza oltranzista vi è una ferita che non potrà essere risanata.
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Bersani sa benissimo che “la ditta” non può reggere una dissidenza interna che arriva a chiedere all’elettorato di battere il suo governo. Una dissidenza di questa natura, peraltro, non sarebbe tollerata in nessun partito. Perché, dunque, l’ex segretario del Pd ha preso questa strada senza uscita? Probabilmente è convinto che solo con uno strappo così vigoroso si possa cancellare “l’usurpazione” di Matteo Renzi, forse si immagina che il corpo del partito lo ringrazierà per aver messo alle corde il premier segretario. Il solco che ha scavato con la sua scelta – e che lo porta ormai definitivamente su posizioni più vicine a quelle di chi guida il movimento 5 stelle rispetto a quelle di chi guida il Partito democratico – diventerà incolmabile e porterà o all’emarginazione definitiva della sua corrente o all’ennesima scissione della sinistra. L’unico elemento di forza della sua posizione politica era lo spirito di partito, la fedeltà a una tradizione in cui però la disciplina interna era un valore fondamentale. Con la sua scelta incoerente, taglia il ramo su cui poggiava la sua presenza politica con le conseguenze che sono facilmente prevedibili.