L'impressione è che il No al referendum sia solo un dispetto
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Promosso Matteo Renzi che ha vinto il confronto con Ciriaco De Mita; bocciato l'interesse morboso dei giornalisti per gli stipendi altrui; bocciata Virginia Raggi che si sta tafazzizzando inseguendo complotti; bocciato Tito Boeri che pur essendo bravo parla un po' troppo; promosso Alfano nonostante navighi a vista.
di Lanfranco Pace | 30 Ottobre 2016 ore 06:15 Foglio
RENZI V/S DE MITA, IL FIORENTINO E IL DEMOCRISTIANO DELLA MAGNA GRECIA
Matteo Renzi ha partecipato venerdì sera al secondo faccia a faccia di Referendum Si o No, la trasmissione di Enrico Mentana su La 7. Dopo il professor Zagrebelsky ha avuto di fronte Ciriaco De Mita: ha vinto anche questa volta.
De Mita è stato per un lungo periodo nel Pd, come Renzi è di cultura e formazione democristiana, si poteva quindi pensare a un duello in punta di fioretto o nelle forme: si sono detti di tutto e scambiati colpi sotto la cintura, a conferma che non c’è peggiore avversario del vicino. L’ex presidente del Consiglio un paio di volte è stato sul punto di alzarsi e andarsene e c’è voluta tutta l’arte di Enrico Mentana (voto 10) per trattenerlo senza darlo a vedere. De Mita comunque ha tenuto botta e reagito con la sua proverbiale cattiveria, ha riservato al premier aggettivi sanguinosi: patetico, volgare, arrogante. Renzi gli ha ricordato che dal 1963 da quando entrò per la prima volta in Parlamento ha fatto di tutto e ancora oggi a ottanta anni e passa tiene le mani in pasta e fa il sindaco: da uomo forte dell’Italia degli anni Ottanta ha una parte di responsabilità nell’impennata del debito pubblico di cui le giovani generazioni pagheranno a lungo le conseguenze.
Una timida apertura De Mita l’ha fatta: quando ha detto che avrebbe trovato “intellettualmente intrigante” un discorso interlocutorio di Renzi, approvazione della riforma seguita da eventuali interventi per correggere quello che non va. Renzi non ha raccolto.
Al premier che ha parlato di intelligenza artificiale industria 4.0 e banda larga, l’ex presidente del Consiglio ha contrapposto l’idea della politica come scienza dell’organizzazione delle istituzioni (definizione ardita e impalpabile) e difeso la pratica del dissenso dialettico e convergente, che non raggiunge le vette delle convergenze parallele ma resta un bell’esempio di ircocervo parlamentare dello scorso secolo. Gli inviluppi mentali però non hanno impedito a colui che l’Avvocato definì intellettuale della Magna Grecia di svettare almeno in un’occasione, quando ha rimproverato al fiorentino cattivo di parlare apertamente di riduzione dei costi della politica, cosa pericolosa, meglio farla senza dirlo perché si rischia di dare sostanza alle invettive delle forze che sono contro il sistema.
Chiunque si trovasse ad affrontare il premier o altro interlocutore parimenti dotato sarebbe in difficoltà, non per carenze personali ma per l’irragionevolezza e la debolezza degli argomenti usati per bocciare una riforma stiracchiata. Si ha l’impressione che il No sia un capriccio amoroso o un dispetto, non si capisce nei confronti di chi: nessuno dice di voler semplicemente mandare a casa Renzi, è più facile gridarlo nelle piazze in stile Brunetta, Salvini e Grillo che in un contraddittorio in televisione. Tutto sommato quello che finora se l’è cavata meglio qualche tempo fa da Lilli Gruber, è stato Marco Travaglio, ma dibattere faccia a faccia per un’ora e mezzo è più complicato e richiede più forza di persuasione che dibattere per mezz’ora soltanto.
SEGNI PERICOLOSI DI SOTTOMISSIONE
La legge dell’auditel spinge a lisciare nel senso del pelo il pubblico, che è anche fatto di invidiosi, biliosi e cretini. Sono stati i talk show ad inaugurare questa brutta settimana in cui alla Camera si è fatto finta di discutere la proposta grillina di dimezzare lo stipendio dei parlamentari. Domenica scorsa l’Arena della banda Giletti, Massimo, con l’ausilio del compare Klaus Davi e di una coorte di giornalisti d’assalto, ma per par condicio va detto che lo stesso fanno La Gabbia, L’Aria che tira su La 7 e Dalla vostra parte su Rete 4, è tornata per l’ennesima volta sul tema dello stipendio, dei vitalizi e altre sedicenti nefandezze della politica. A titillare ancora di più la trippa del pubblico ha messo a confronto alcuni consiglieri ed ex consiglieri regionali che non ci stanno a farsi togliere il vitalizio con un vero Mulino Bianco, tale signore Pino che è vispo, accattivante e da trentadue anni lavora in fonderia e guadagna 1.200 euro al mese e fra dieci anni andrà in pensione con poco più di 800.
Come se il mondo davvero si dividesse fra chi fa lavori eroici e chi si butta in politica per non fare un cazzo e campare alle nostre spalle. Non è così.
Primo. Se lo stipendio lordo del parlamentare italiano è forse il più alto d’Europa, quello netto è il più basso per l’alta incidenza del prelievo fiscale e contributivo.
Secondo. Il politico è un eletto del popolo e fino a quando non è acclarato che sia un manigoldo o un incompetente deve potere godere dell’aura di chi riesce a guadagnarsi la fiducia di migliaia di elettori. Cinquemila euro netti al mese per un professionista della politica equivalgono a una mancia per un avvocato come Ghedini che infatti ci ha rinunciato, se lo può permettere: davvero vogliamo che solo i ricchi facciano politica e ci rappresentino?
Terzo. Basta con la domanda lei quanto guadagna, oppure che venga adottata e imposta come domanda preliminare a ogni incontro pubblico, lo si chieda ai generali dei carabinieri, ai magistrati, ai medici e anche ai giornalisti: scopriremmo cose sorprendenti.
A dire il vero un consigliere regionale presente in studio ha chiesto a Giletti quanto guadagnasse, lui ha risposto che è sul mercato, porta pubblicità e fa guadagnare la Rai, un giornalista di quotidiano anche lui ha detto che sta nel privato, tralasciando il piccolo particolare che si paga il canone Rai e non c’è giornale, a parte credo il Fatto Quotidiano, nel cui bilancio non pesino in modo importante sovvenzioni e manne pubbliche.
Infine, lavorare in fonderia è reale ma è realmente una disgrazia: saremo un grande paese quando riusciremo a dare ai Pino d’Italia una via di fuga.
Che noi giornalisti si smetta dunque di importunare il prossimo. E ai politici si chiedano impegni e risultati e non i conti in tasca.
ME NE FRIGO
Raggi ‘gna fa, sembra evidente. Si sta tafazzizzando, ha tirato fuori la storia dei frigoriferi e del complotto quando è lei stessa ad aver sospeso a giugno il servizio di raccolta dei rifiuti speciali. In un’intervista a Repubblica ha definito tre priorità per Roma, rifiuti trasporti e trasparenza. Se risolve le prime due, le abboniamo molto volentieri la terza.
Magari prima di rilanciare il progetto della teleferica, la giunta dovrebbe dire cosa intende fare con il disallineamento dei binari della linea C della metro. Chi è responsabile di tanta incompetenza?
IL PD ATTENDE
Qual è l’opinione di Fabrizio Barca, si, no, ni, forse sì, forse no o il molto chic e assai significativo politicamente, forse vado e mi astengo? Ma perché la brava Fiorella Mannoia è così irriducibilmente estremista? Perché Giorgia, non la Meloni ma la cantante, vuole scegliersi i suoi parlamentari? Domande che travagliano lo spirito democratico. Noi l’ebbrezza di scegliere il rappresentante l’abbiamo provata una sola volta, primavera del 1994, c’erano il maggioritario a due turni e in lizza per il collegio di Roma centro, Silvio Berlusconi e Luigi Spaventa. Tutte le altre volte si è votato per il partito. Senza preferenze. Fisso. Non che cambi molto.
BOERI SILENTE MAI
Di Tito Boeri non si può dire che non sia bravo: ma che parli un po’ troppo, sì. Il presidente dell’Inps è stato nominato dal governo e contro il governo spara ogni volta che gli detta la coscienza. Ora ce l’ha con gli anticipi pensionistici, troppo costosi, dice che il suo piano era migliore. Delle due l’una: ha portato le sue proposte a conoscenza del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia o no? Se sì e gliele hanno bocciate ha l’obbligo di allinearsi e tacere. Se invece non lo ha fatto, con chi se la prende?
ANGELINO CON IL QUID
Tomo tomo cacchio cacchio il ministro dell’Interno prosegue la sua navigazione a vista e con il naso a pelo d’acqua. Lo fa bene. Non avrà il quid ma un sesto senso sì eccome. Irriso e detestato dai suoi ex compagni si sta rivelando grande foderatore di spigoli, smussatore di scogli davanti l’Eterno. Riesce a rimanere calmo di fronte a migliaia di sbarchi e mostra cristiana empatia con i profughi anche di fronte a episodi come quelli avvenuti nel ferrarese. Bravo Alfano