Un modello vecchio d’un secolo per ricostruire subito l’Italia centrale
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Mentre le scosse di assestamento continuano, l’obiettivo è quello di ricostruire nel più breve tempo e nel miglior modo possibile quanto distrutto. Per fare questo, però, lo stato dovrebbe guardare ai privati piuttosto che alle sue stesse istituzioni. Parla Sforza Fogliani
Ricostruzione del tetto della chiesa di Croce di Piave, Venezia, dopo la prima guerra mondiale
di Giovanni Battistuzzi | 27 Ottobre 2016 ore 18:11
Roma. Due mesi dopo il terremoto che rase al suolo Amatrice e altri centri ai piedi dei monti Sibillini, anche a cinquanta chilometri più a nord si parla oggi di ricostruzione. Quattro scosse di magnitudo compresa tra 4 e 5.9 gradi sulla scala Richter hanno danneggiato diversi centri al confine tra Umbria e Marche. Alcuni edifici sono crollati, molti inagibili. E mentre le scosse di assestamento continuano, l’obiettivo è quello di ricostruire nel più breve tempo e nel miglior modo possibile quanto distrutto. Per fare questo, però, lo stato dovrebbe guardare ai privati piuttosto che alle sue stesse istituzioni.
Sarebbe oppotuno riprendere un piano vecchio di un secolo per capire che ricostruire bene e in poco tempo è possibile: “Ogni ricostruzione porta con sé alcuni rischi: quello di sprechi, quello di ritardi, quello della corruzione”, dice al Foglio il presidente del Centro studi Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani.
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“Sono pericoli da evitare e per farlo sarebbe bene ricordare l’esempio di Giovanni Raineri e del suo progetto di ricostruzione del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia dopo la Prima guerra mondiale”.
La situazione delle regioni dopo il conflitto bellico era drammatica: “Rovina e abbandono ovunque e tracce di profonde della devastazione compiuta dalla guerra, asportazione completa di quanto poteva essere dotazione o scorta delle aziende”. Uno scenario, quello descritto nelle memorie dell’allora ministro delle Terre liberate, peggiore di quello attuale relativo alle zone colpite dagli ultimi episodi sismici nel centro Italia, anche se paragonabile per drammaticità e problematiche conseguenti. L’urgenza della situazione portò Raineri al varo del regio decreto legislativo del 29 aprile 1920, grazie al quale veniva dato il via alla “costituzione di consorzi che riunivano i privati che avevano subiti danni alle proprie abitazione e proprietà”, al fine di gestire direttamente i finanziamenti statali per la ricostruzione. L’obiettivo era di “togliere il più presto possibile le popolazioni dal vivere nelle baracche, riconducendole alla vita sana, fisicamente e moralmente, della casa fissa”, scrisse lo stesso Raineri. E “per farlo nel miglior modo possibile, e in tempi rapidi, era necessario superare l’intermediazione politica, diminuendo così i passaggi burocratici e le problematiche legate ai fenomeni di corruzione”, sottolinea Sforza Fogliani.
Chiamare in causa gli stessi danneggiati ad assolvere il compito della ricostruzione per preservarla dai fenomeni speculatori: fu questa l’innovazione che Giovanni Raineri avanzò nel 1920.
Un modello che portò a una veloce ricostruzione, priva di scandali e che risolse in appena un paio d’anni l’emergenza abitativa in Veneto, “ma che allo stesso tempo incontrò le critiche di una gran parte dei politici e degli enti locali, che provarono a bloccare la riuscita del progetto, fortunatamente senza successo”, racconta il presidente del Centro studi Confedilizia.
Ma come si può valutare la bontà delle opere di ricostruzione ed evitare che fossero gli stessi privati a sperperare i contributi pubblici? “E’ a questo punto che interveniva lo stato”, spiega Sforza Fogliani. Stato “che grazie al Genio civile valutava i danni e i singoli progetti, avallando di conseguenza i finanziamenti per la ricostruzione”. Un modello che ha quasi un secolo di vita, ampiamente dibattuto e applaudito in Francia, ma quasi dimenticato in Italia, dove invece dovrebbe essere seguito per ricondurre velocemente alla normalità le zone devastate dal terremoto. “Se ancora all’Aquila e in altri casi, non si spiegano certe scelte adottate nel dopo sisma è perché le decisioni sono state prese in modo errato, affidando a troppe istituzioni la risoluzione delle problematiche della ricostruzione. Il superamento del blocco burocratico non può fare che bene a una gestione ottimale di questa”, conclude Sforza Fogliani.
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