Tasse e crescita: tutte le zone d'ombra del Def
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Padoan ha rivelato i numeri della manovra ed è apparso chiaro che il governo sta bruciando le tasse degli italiani, l’austerità di cui parla Renzi è finita con il suo governo, da un pezzo. Dall'estero, la Russia vive ormai in un clima di guerra
Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)
di Mario Sechi | 12 Ottobre 2016 ore 09:57
12 ottobre. Nel 2000 la nave della marina statunitense USS Cole a Aden (Yemen) viene attaccata da un’imbarcazione imbottita di esplosivo. L’incrociatore non affonda ma la fiancata viene squarciata.17 morti e 39 feriti. E’ il preludio dell’11 settembre 2001.
Titoli. Follow the money, segui i soldi. Per sapere, per capire la parabola della renzinomics bisogna osservare cosa fa, cosa dice (e cosa non dice) Pier Carlo Padoan. Il ministro dell’Economia ha presentato il Def qualche giorno fa e le previsioni di crescita sono state prese per visioni da Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio (che ieri ha confermato la bocciatura del Def). Padoan ha rivelato i numeri della manovra ed è apparso chiaro che il governo sta bruciando le tasse degli italiani, l’austerità di cui parla Renzi è finita con il suo governo, da un pezzo: la manovra è in deficit per 13,3 miliardi su un totale di 24,5. La pagina a destra del libro contabile, quella delle spese, è la sintesi della cultura, del testo e del sotto-testo della politica economica: 15 miliardi sono impegnati per bloccare l’aumento dell’Iva; 3 miliardi sono alla voce “nuove politiche sociali”, cioè pensioni e dipendenti pubblici; 5 miliardi sono catalogati alla voce sviluppo e politiche vigenti, in pratica un po’ di iper-ammortamenti, credito di imposta su ricerca e sviluppo, qualche opera pubblica e interventi anti-sismici. Il titolo del Sole 24Ore, nella sua apparente asetticità, dice tutto: “Deficit fino a 13,3 miliardi, nuove entrate fissate a 8,5”. Significativa la lettera che il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, ha inviato ai presidenti delle Camera al termine dell’audizione del ministro Padoan, dove si esplicita ancora una volta che “vi è quindi una divergenza di opinioni con il governo” e si si ricorda “che il principio del comply or explain sotteso dall’articolo 18, comma 3, della legge n. 243 del 2012, non obbliga il governo ad adeguarsi ma richiede che esso illustri “i motivi per i quali ritiene di confermare le proprie valutazioni ovvero ritiene di conformarle a quelle dell’Ufficio”. Padoan ha deciso di tirare dritto in un confronto che con l’andare dei mesi si farà sempre più scartavetrato. Il governo ha ribadito la sua linea, l’Upb ha mostrato un’autonomia salutare per le istituzioni. La manovra sarà presentata sabato, il luna park dei titoli dei giornali è aperto. La Stampa registra il numero: “Pronta la manovra, sale a 24,5 miliardi”; il caffè al vetro e il Messaggero non schiariscono l’orizzonte: “Tagli e crescita, ecco la manovra”; il Mattino introduce la variante Villa Arzilla: “Pensioni e crescita, ecco i fondi”, dove le due parole insieme (pensioni e crescita) sono il nostro drammatico gioco al mordi la coda; Il Gazzettino ritrae il fiero gladiatore, Padoan, che agita la sua spada nel Colosseo del deficit: “Crescita, Padoan va allo scontro”. Siamo all’epica.
Sintesi, la manovra è influenzata dal clima elettorale (referendum), per queste ragioni scommette su un paese per vecchi (dipendenti pubblici, pensionati e pensionandi), valuta come spinta alla crescita perfino il blocco dell’aumento dell’Iva, presenta un quadro economico sul futuro che non tiene conto di molti fattori di rischio e per la crescita la parola chiave è peanuts, noccioline. Come tutto questo possa produrre un rialzo del pil dell’1 per cento nel 2017 resta francamente un mistero. Siamo nelle mani della Fortuna, così descritta nel vocabolario della Treccani: “Nella fantasia popolare come un essere soprannaturale a cui si attribuisce il merito o la colpa di avvenimenti inaspettati e di improvvisi mutamenti di stato, raffigurata come una giovane donna bendata, con un piede su una ruota, simbolo della sua instabilità”. Tanti auguri.
Mille partecipate da chiudere. Continuando la nostra caccia all’oro (e ai buchi di bilancio) sul taccuino finisce questo titolo di Italia Oggi: “Mille partecipate da chiudere”. Sommario: “La Corte dei conti ha censito 7.181 enti. Di questi, ben 1.279 hanno un numero di dipendenti inferiore agli amministratori. Quasi la metà delle società è in perdita”. Chiudetele, per favore.
Il problema italiano? Alla cassa.
Mettiamo insieme un po’ di titoli sparsi, li prendiamo da quello che viene chiamato “territorio”. Bene, signore e signori, il problema è alla cassa, in banca. La Verità da giorni conduce un’inchiesta interessante sul crac della Popolare di Vicenza: “Il massacro della giudice che voleva far processare Zonin”. Dal Gazzettino arriva un’instagrammata sul miracolo del nord est: “Popolare Vicenza, via libera alle cause contro Zonin & C.”. Sotto la Lanterna hanno invece un altissimo esempio di come perdere denaro chiamato Carige, titolo di taglio sul Secolo XIX: “Carige chiama Pericu e accelera sui deteriorati”. Basta mettere insieme i titoli, non serve altro per scoprire quanto è bello andare a spasso nel territorio: gli sportelli bancari sono come le buche della giungla vietnamita.
Italy Italy. Roma-Milano. Un titolo della Gazzetta dello Sport: “Malagò spegne il sogno olimpico e lancia Milano”. Uno di Libero: “Un boom della Madonnina”. Uno del Messaggero: “Muraro, la procura verso la richiesta di rinvio a giudizio”. Roma senza Giochi Olimpici a causa del no dei grillini, Roma ad anni luce di distanza dall’efficienza e contemporaneità di Milano, Roma e la sua giunta impiccata alla forca issata dagli stessi pentastellati. E’ il trittico di un declino inesorabile e dell’Italia spaccata in due: la vibrante Milano è in Europa, Roma è in una dimensione extraterrestre, circondate dalle scie chimiche dell’ignoranza, confine di un Mezzogiorno dove comincia un altro paese.
Putin e la nuova guerra fredda. Il Corriere della Sera piazza in prima pagina questo titolone: “Un clima di guerra in Russia”.
I russi fanno scorta di alimenti, Putin ha annullato il suo incontro con Hollande a Parigi che era in agenda per il prossimo 19 ottobre. Francia e Russia sono ai materassi sulla strategia di guerra in Siria. In realtà il problema nasce a Washington. Dopo la caduta del muro di Berlino e “la fine della storia” (Fukuyama) si è scoperto che la storia non era affatto finita e la Russia, in un esemplare ciclo di eterno ritorno, è tornata a esercitare la politica delle sfere di influenza. Il propellente americano sulla rivoluzione in Ucraina (2014) ha scatenato la reazione di Mosca che si è ripresa la Crimea (2014), gli americani hanno continuato a premere per l’allargamento della Nato a est, ai confini della Russia, e il Pentagono ha cominciato a dislocare missili balistici (sistema di combattimento Aegis, prodotto dalla Lockheed Martin) in Polonia e in Romania. La strategia americana è stata saggia? No. Fa l’interesse dell’Europa? No. A questo bisogna aggiungere il capitolo della cyber-guerra tra i due paesi, le accuse degli americani ai russi sulle violazioni dei sistemi informatici del Partito democratico, l’infuocata campagna elettorale presidenziale e le accuse (mai provate) di Hillary Clinton a Donald Trump: sei un amico di Putin. I rapporti tra Stati Uniti e Russia sono al minimo storico dal 1989. L’esito di questo crisi e della disastrosa linea di politica estera americana nell’Est Europa (e nel Mediterraneo) era già stato messo nero su bianco su Foreign Affairs da John J. Mearsheimer su Foreign Affairs: “Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault”. A forza di provocare, arriva sempre una reazione che non avevi calcolato. Bisognerebbe tenere bene a mente una frase di Kipling: “Sciocco è colui che tenta di forzare l'Oriente”. Il prossimo presidente americano dovrà decidere cosa fare con la Russia. E’ consigliata la lettura di Lev Tolstoj, Guerra e Pace.
Uomini e donne (Trump e Clinton). Cosa sta succedendo nelle elezioni americane? Trump sta perdendo terreno, ma la Clinton non è ancora al sicuro. Nate Silver ha sfornato un’eccellente analisi che spacchetta il voto di uomini e donne nella corsa alla Casa Bianca, il risultato è stupefacente. Due mappe spiegano tutto. Ecco il risultato se negli Stati Uniti votassero solo le donne:
invece cosa succederebbe se votassero solo gli uomini:
Le donne però rappresentano il 53 per cento dell’elettorato americano. Con questi numeri, la Clinton va alla Casa Bianca (forse). E avrà la valigetta con i codici nucleari (forse).