Vi dico perché vincerà il No
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Quando un referendum diventa un voto per una Causa non c’è più storia. Quella sul No è una battaglia ideale in un’epoca deserta d’ideali. E’ l’unico storytelling che funziona
Referendum, Renzi a Pesaro. Sostenitori del No (foto LaPresse)
di Claudio Giunta | 10 Ottobre 2016 ore 20:53 Foglio
L’unica volta che ho visto Renzi dal vivo, smagliante, al Festival dell’Economia di Trento, la questione dello storytelling è saltata fuori due volte, una in relazione al modo in cui il Pd doveva “raccontare se stesso al paese” e una, più originalmente, in relazione all’agricoltura: una volta – cito a memoria – fare i cuochi non era considerato una cosa eccitante, adesso sì perché la televisione l’ha resa tale, la televisione ha spiegato anzi ha fatto vedere che cucinare è cool, e noi adesso dovremmo fare la stessa cosa con la coltivazione dei campi.
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Il libretto di Christian Salmon “La politica nell’èra dello storytelling” ribadiva il concetto nell’arco di 120 pagine scritte larghe, in un assurdo mescolone di citazioni da bigino prese da Deleuze Baudrillard Foucault Bauman Burke Goffman Austin Bachtin Pocock: non esistono le cose in sé, questa la dotta Teoria, esiste il modo in cui le si racconta; trovate un bel modo per raccontare la vostra storia e il successo non potrà mancare.
Non è ben chiaro, in realtà, quale storia abbia raccontato Matteo Renzi in questi anni di governo, e se abbia dato risultati, e come la storia che lui racconta differisca da quella che ogni uomo politico del passato e del futuro doveva e dovrà raccontare per farsi votare, ma è probabile che sul referendum costituzionale lo storytelling di Renzi (semplificazione, risparmio, velocizzazione dei processi decisionali) abbia trovato un valido avversario nello storytelling del baluardo in difesa della democrazia. Valido?
Invincibile, probabilmente. Il voto per il No, infatti, è per una minoranza di informati un meditato, motivato voto per il No. Ma per i molti cittadini che sanno poco o sono poco informati è il voto per una Causa.
Il voto per il Sì non lo è: è il voto per una serie di aggiustamenti della Costituzione, di modifiche forse (forse) sensate alla procedura attraverso la quale si fanno le leggi, al modo in cui lo stato e le regioni si dividono il potere, ma non è il voto per una Causa. Ma una Causa è il più formidabile degli storytelling. Perché viviamo vite pacifiche in tempi pacifici, che ci mettono di fronte non a opzioni come “sacrificare la mia vita o quella di mio figlio?” o “salire su quel gommone o restare sotto le bombe?”, bensì a opzioni come “vestirsi classico o vestirsi giovanile?”, “mettersi o non mettersi a dieta?”, “iscrivere un figlio alla scuola pubblica o a quella privata?”. Scelte importanti, ma prosaiche.
L’aura del pericolo, la chance dell’eroismo, la possibilità di contribuire alla sconfitta del Male – uno passa un’intera esistenza senza che queste occasioni (se ne è letto nei libri, si sono viste al cinema) si presentino. Poi arriva il referendum costituzionale, e lo storytelling del No dice che la democrazia è in pericolo, che le banche americane stanno dalla parte del Sì, che bisogna fare quadrato attorno alla Costituzione antifascista. Ed eccole, l’aura del pericolo, la chance dell’eroismo, la possibilità di contribuire alla sconfitta del Male: e tutto ovviamente senza neanche il rischio di una scalfittura, anzi con una rifrescante sensazione di benessere, quella che la self-righteousness immancabilmente genera nei self-righteous. E’ la rarissima battaglia ideale in un’epoca deserta d’ideali.
Quando l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione incontra l’italiano che vuole salvare la democrazia, l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione è un italiano morto. Vincerà il No.
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